martedì 10 marzo 2020

La Tattica nella Grande Guerra 6


Meno lineare, soggetta a ritorni involutivi, non risolutiva del problema, l'evoluzione della dottrina tattica offensiva, che vagò a lungo alla ricerca della formula idonea a rompere l'equilibrio statico nei riguardi della difesa e che non seppe comporla nei giusti termini, o quanto meno non percepì l’esatto valore, neppure quando ebbe a disposizione il mezzo - il carro armato - per farlo. Il fallimento delle dottrine offensive in vigore all'inizio del conflitto aveva colto di sorpresa tutti gli eserciti, compreso il tedesco che pure disponeva di un’artiglieria superiore per quantità e per qualità e soprattutto di obici pesanti meglio idonei a distruggere l'ostacolo passivo e gli elementi fortificati. L'errore era stato di dare l'avvio ad una guerra di tipo ossidionale con i mezzi di una guerra di movimento. Il successivo aumento delle dotazioni di pezzi pesanti e di medio calibro, in particolare degli obici e dei mortai, e l'intervento delle armi di trincea a tiro curvo giunsero in ritardo, quando cioè la difesa aveva avuto il tempo di crescere in profondità ed in robustezza e di moltiplicare il numero degli obiettivi duri. La lotta tra l'attacco e la difesa divenne impari: questa disponeva di spade e di scudo, l'attacco solo di lancia, che lunga che fosse finì quasi sempre per spezzarsi senza forare lo scudo o, quando vi riuscì non ebbe lo scatto e la distensione necessari per l’affondo, che venne sempre parato o schivato, magari, come sul fronte orientale, con un lungo salto all'indietro senza perdere peraltro il controllo dell'arma.
(Da Filippo Stefani, Storia della Dottrina e degli ordinamenti dell'Esercito Italiano) continua con post in data 10 aprile 2020