giovedì 30 aprile 2020

Tesi di Laurea. Eroi Dimenticati


Il Dott. Giorgio Madeddu ha discusso nella sessione di laurea invernale del Master di 1° Livello in Storia Militare Contemporanea 1796 -1960 presso la Università degli Studi N. Cusano Telematica Roma la tesi qui presentata. La tesi stessa può essere consultata presso la Emeroteca del CESVAM (www.cesvam.org) Istituto del Nastro Azzurro, Roma, Piazza Galeno previa autorizzazione dell'Autore

venerdì 10 aprile 2020

La Tattica nella Grande Guerra 7. Le fasi della manovra di rottura

Delle tre fasi della manovra di rottura la prima - l'apertura della breccia - venne In un primo periodo affidata all'artiglieria, la seconda - la penetrazione nella breccia - alla fanteria e la terza - il dilagamento - alla cavalleria. I risultati furono del tutto deludenti. A parte il fatto che nelle prime battaglie l'artiglieria non riuscì a distruggere l'ostacolo passivo (per l’inadeguatezza degli effetti dei pezzi leggeri, per la scarsità di pezzi pesanti ed a tiro curvo, per l'insufficienza quantitativa del munizionamento che era stato accantonato in previsione di una guerra di rapido corso e non di posizione), ciò che più si dimostrò inattuabile, anche quando le artiglierie furono in grado di distruggere l'ostacolo passivo, fu la penetrazione della fanteria che, con i propri mezzi e con i procedimenti in vigore, non fu assolutamente in grado di muovere con rendimento operativo accettabile nel dedalo delle superstiti difese passive ed attive che vennero facendosi sempre più resistenti e sempre più numerose in profondità. La fanteria, una volta completata la distruzione dell'ostacolo avanzato da parte dell'artiglieria, doveva: muovere da una base preparata, consistente in un complesso di linee - trincea di partenza - scavate, quando possibile, a distanza media di 1.000 m dalla linea avanzata nemica; procedere ad ondate, mediante sbalzo di frazioni di onda, appoggiate dal fuoco dell'artiglieria, secondo il procedimento dell'avanzata progressiva del fuoco ottenuta mediante la proiezione progressiva degli elementi arretrati sulla prima linea di attacco; assaltare all’arma bianca gli elementi superstiti della difesa. In altre parole: dopo un prolungato tiro di distruzione dell'ostacolo passivo, l’artiglieria rovesciava un diluvio di proietti sulle trincee nemiche e la fanteria, dopo essersi spostata più o meno al coperto nelle trincee di raccolta, ne balzava fuori non appena il tiro della propria artiglieria fosse stato allungato ed avanzava ad ondate serrate - un passo di intervallo tra uomo e uomo - seguentisi a brevissima distanza, sino a raggiungere l'obiettivo assegnato. La divisione si schierava per linea, una brigata dietro l'altra, su di una fronte di 1.200 m, sulla quale si schieravano 6 compagnie del reggimento di testa della brigata avanzata, costituendo così la prima ondata; le altre unità della brigata avanzata seguivano, suddivise in ondate successive di 6 compagnie ciascuna, a 100 m di distanza l'una dall'altra; la la brigata arretrata seguiva a distanza variabile secondo i casi, con il compito di rincalzo di quella avanzata; le linee di tiratori procedevano ad un passo d’intervallo tra uomo e uomo ed a distanza di una decina di metri l'una dall'altra. Si trattava di un sistema basato sul peso fisico della massa e sugli effetti di una pressione meccanica unidirezionale e meramente frontale, senza possibilità di espansione “ che portava ineluttabilmente al frammischiamento delle unità e, conseguentemente, ne rendeva impossibile la comandabilità.
Durante la successiva avanzata nell'interno della sistemazione difensiva nemica, il collegamento tra fanteria e artiglieria diventava sempre più difficile e, quindi, veniva a cessare l'azione coordinata tra le due armi, sì che nel momento in cui la crisi raggiungeva il punto culminante, la fanteria non aveva altra risorsa che i propri mezzi e di essi, il fuoco, quello più efficace, in condizioni di impiego assai aleatorie” (75). Per ottenere brecce sufficienti all'entità delle masse che dovevano penetrare nel sistema difensivo e provocare la decisione della lotta si fece, inoltre, ricorso inizialmente all'ampliamento di estensione delle fronti di attacco e dalla compattezza dei dispositivi di penetrazione, densi nel senso della fronte ed in quello della profondità sia per il numero degli elementi costituitivi sia per la scarsa distanza intercedente fra gli elementi stessi.
Di fronte alle ecatombi delle fanterie le cui ondate successive dovevano accavallarsi l’una sull’altra - la seconda calpestando i morti della prima e così via - e muovere alla velocità di qualche metro al giorno si cercò di correre ai ripari affidando anche la penetrazione prevalentemente all'artiglieria e relegando la fanteria al compito quasi passivo dell'occupazione del terreno preventivamente liberato da ogni ostacolo attivo e passivo della difesa. Ma i procedimenti di lotta non differirono  sostanzialmente da quelli iniziali. La brigata si schierava per ala anziché per linea, ma la fanteria combatteva ancora ad ondate successive di tiratori in catena densa, quasi a contatto, e profondamente scaglionate; erano spariti i sostegni, ma il battaglione si  disponeva su 4 ondate, la compagnia su 2, la catena a 2 passi d’intervallo tra uomo e uomo; la prima ondata avanzava a sbalzi seguita dalla successiva a distanza di 100 m e così via, ma tutte le ondate continuavano in pratica a fondersi sulla prima. Il principio, che l'artiglieria conquista la fanteria mantiene condusse gradualmente ad azioni di preparazione sempre più lunghe e metodiche, a scindere l'azione generale in una serie di successivi attacchi parziali cadenzati nel tempo, intervallati da soste più o meno prolungate per riconoscere le resistenze avversarie e distruggerle preventivamente con il fuoco, a restringere le fronti di attacco tra i 2.500 m (esercito francese) e 1.200 m (esercito tedesco), alla rinunzia ai principi della sorpresa, dell'inganno e della continuità dello sforzo dando tempo al difensore di correre alla parata e di annullare i vantaggi iniziali dell'attacco. Nel 1915: la preparazione dell'artiglieria durò 4 ore nella battaglia dell'Artois (maggio); 24 ore in quella di Gorlice (maggio) e 75 ore in quella dello Champagne; nella 1^ e nella 2^ battaglia dell'Isonzo la preparazione di artiglieria fu assai breve, ma con il risultato che i reticolati nemici rimasero intatti e la fanteria attaccante vi rimase aggrappata con le pinze tagliafili nelle mani. Nel 1916: nella battaglia di Verdun del 21 febbraio i tedeschi protrassero il fuoco di preparazione per 9 ore e mezza; in quella della Somme del luglio i franco-britannici fecero durare la preparazione poco meno di una settimana ed in quella di Verdun 4 giorni e mezzo; in quella del Trentino gli austro-ungarici 24 ore, mentre gli italiani prepararono la 4^ battaglia dell'Isonzo con un fuoco di artiglieria durato 8 ore. Nel 1917 a Messines (luglio) gli inglesi schierarono 2.400 bocche di fuoco su 16 km; a Verdun (20- 26 agosto) i francesi batterono una fronte di 17 km per 7 giorni con 2.332 pezzi consumando 3 milioni di proietti da 75 e 1 milione di proiettili di calibro maggiore, mentre a Malmaison l'artiglieria francese, forte di 624 pezzi da 75, di 986 pezzi pesanti e di oltre 270 bocche da fuoco di trincea, sparò per 6 giorni e 6 notti su di una profondità di soli 800 m; nel.’11^ battaglia dell'Isonzo il tiro di preparazione si iniziò alle 14 del giorno 17 agosto contro i gangli vitali della difesa, continuò per tutta la notte successiva e dalle 6,30 del giorno 18 fino alle prime ore del giorno 19, e vi presero parte tutte le artiglierie schierate dall'Idria al Timavo. Malgrado ciò i risultati furono tutt'altro che incoraggianti. Nonostante che fosse stata diminuita la densità della catena di fanteria aumentando a 4- 5 passi gli intervalli tra i tiratori, e la fanteria fosse stata gradatamente dotata in misura maggiore di bombe a mano, di lanciafiamme e di batterie leggere di accompagnamento, prevalse per quasi tutto il 1917 il concetto di arrestare la fanteria al limite della zona di battuta dall'artiglieria, e cioè prevalse la tattica degli obiettivi limitati e vicini, la cui conquista andava ogni volta preparata da una potente azione dell'artiglieria. La tattica dell’attacco intermittente - penetrazione per successivi obiettivi, con il progressivo metodico spostamento in avanti del fuoco, mediante combattimenti intervallati da pause di sospensione - prima in parte abbandonata, poi nuovamente accettata, confermò di nuovo che la soluzione del problema non stava né nell'assegnare all'artiglieria un ruolo primario anche nella fase di penetrazione, né nel restringere le fronti d’investimento e nell’aumentare la densità del fuoco (1 lanciabombe, 1 pezzo da campagna, 1 pesante ogni 30- 20 m) con il lancio di 900 kg di proietti per ogni metro quadrato, ma piuttosto nell’ideare mezzi nuovi e procedimenti diversi che ubbidissero, in ogni caso, ai precetti della sorpresa, dell'inganno e dell'economia e delle forze, inteso questo ultimo soprattutto come risparmio di vite umane e di materiali. I tedeschi, in verità, creatori della tattica dell'attacco intermittente, avevano in precedenza, fin dal 22 aprile 1915, esperimentato un mezzo diverso di neutralizzazione delle difese attive mediante l'impiego dei gas ad Ypres, ed erano riusciti in meno di 2 ore ad aprire una breccia di oltre 6 km di profondità eliminando dalla lotta 2 intere divisioni francesi; non da meno erano stati gli inglesi più di un anno dopo, quando il 15 settembre 1916 impiegarono per la prima volta, nella battaglia della Somma, il carro armato. I gas inflissero ai difensori dal 22 aprile al 1 maggio perdite doppie di quelle subite dagli attaccanti, ma i tedeschi non furono pronti a sfruttare gli effetti sicché, superata la sorpresa iniziale, una volta entrati nell’ impiego normale, i gas non furono più mezzo idoneo a rompere l'equilibrio statico tra offesa e difesa, sia per le limitazioni alle quali erano soggetti, sia per le contromisure che vennero adottate da entrambe le parti, sia perché ben presto disponibili presso entrambi gli opposti schieramenti; essi tuttavia consentirono la riduzione della durata dei tempi di neutralizzazione delle difese attive. (Da Filippo Stefani, Storia della Dottrina e degli Ordinamenti dell'Esercito Italiano) continua con post in data 10 maggio 2020