Il Dott. Giorgio Madeddu ha discusso nella sessione di laurea invernale del Master di 1° Livello in Storia Militare Contemporanea 1796 -1960 presso la Università degli Studi N. Cusano Telematica Roma la tesi qui presentata. La tesi stessa può essere consultata presso la Emeroteca del CESVAM (www.cesvam.org) Istituto del Nastro Azzurro, Roma, Piazza Galeno previa autorizzazione dell'Autore
Blog dedicato alla prima Guerra Mondiale ed alle sue conseguenza in Italia e in Europa. E' espressione del CESVAM - Istituto del Nastro Azzurro come spazio per i temi riguardanti la grande guerra e le sue conseguenze (info:centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org
giovedì 30 aprile 2020
Tesi di Laurea. Eroi Dimenticati
Il Dott. Giorgio Madeddu ha discusso nella sessione di laurea invernale del Master di 1° Livello in Storia Militare Contemporanea 1796 -1960 presso la Università degli Studi N. Cusano Telematica Roma la tesi qui presentata. La tesi stessa può essere consultata presso la Emeroteca del CESVAM (www.cesvam.org) Istituto del Nastro Azzurro, Roma, Piazza Galeno previa autorizzazione dell'Autore
lunedì 20 aprile 2020
venerdì 10 aprile 2020
La Tattica nella Grande Guerra 7. Le fasi della manovra di rottura
Delle tre fasi della manovra di
rottura la prima - l'apertura della breccia - venne In un primo periodo
affidata all'artiglieria, la seconda - la penetrazione nella breccia - alla
fanteria e la terza - il dilagamento - alla cavalleria. I risultati furono del
tutto deludenti. A parte il fatto che nelle prime battaglie l'artiglieria non
riuscì a distruggere l'ostacolo passivo (per l’inadeguatezza degli effetti dei
pezzi leggeri, per la scarsità di pezzi pesanti ed a tiro curvo, per
l'insufficienza quantitativa del munizionamento che era stato accantonato in
previsione di una guerra di rapido corso e non di posizione), ciò che più si dimostrò
inattuabile, anche quando le artiglierie furono in grado di distruggere
l'ostacolo passivo, fu la penetrazione della fanteria che, con i propri mezzi e
con i procedimenti in vigore, non fu assolutamente in grado di muovere con
rendimento operativo accettabile nel dedalo delle superstiti difese passive ed
attive che vennero facendosi sempre più resistenti e sempre più numerose in
profondità. La fanteria, una volta completata la distruzione dell'ostacolo
avanzato da parte dell'artiglieria, doveva: muovere da una base preparata,
consistente in un complesso di linee - trincea
di partenza - scavate, quando possibile, a distanza media di 1.000 m dalla
linea avanzata nemica; procedere ad ondate,
mediante sbalzo di frazioni di onda, appoggiate dal fuoco dell'artiglieria,
secondo il procedimento dell'avanzata progressiva del fuoco ottenuta mediante
la proiezione progressiva degli elementi arretrati sulla prima linea di
attacco; assaltare all’arma bianca gli elementi superstiti della difesa. In
altre parole: dopo un prolungato tiro di distruzione dell'ostacolo passivo,
l’artiglieria rovesciava un diluvio di proietti sulle trincee nemiche e la
fanteria, dopo essersi spostata più o meno al coperto nelle trincee di
raccolta, ne balzava fuori non appena il tiro della propria artiglieria fosse
stato allungato ed avanzava ad ondate serrate - un passo di intervallo tra uomo e uomo -
seguentisi a brevissima distanza, sino a raggiungere l'obiettivo assegnato. La
divisione si schierava per
linea, una
brigata dietro l'altra, su di una fronte di 1.200 m, sulla quale si schieravano
6 compagnie del reggimento di testa della brigata avanzata, costituendo così la
prima ondata; le altre unità della brigata avanzata seguivano, suddivise in
ondate successive di 6 compagnie ciascuna, a 100 m di distanza l'una
dall'altra; la la brigata arretrata seguiva a distanza variabile secondo i
casi, con il compito di rincalzo di quella avanzata; le linee di tiratori
procedevano ad un passo d’intervallo tra uomo e uomo ed a distanza di una decina
di metri l'una dall'altra. Si trattava di un sistema basato sul peso fisico della
massa e sugli effetti di una pressione
meccanica unidirezionale e meramente frontale, senza possibilità di
espansione “ che portava ineluttabilmente al frammischiamento delle unità e,
conseguentemente, ne rendeva impossibile la comandabilità.
Durante la successiva avanzata nell'interno della sistemazione difensiva
nemica, il collegamento tra fanteria e artiglieria diventava sempre più
difficile e, quindi, veniva a cessare l'azione coordinata tra le due armi, sì
che nel momento in cui la crisi raggiungeva il punto culminante, la fanteria
non aveva altra risorsa che i propri mezzi e di essi, il fuoco, quello più
efficace, in condizioni di impiego assai aleatorie” (75). Per ottenere brecce
sufficienti all'entità delle masse che dovevano penetrare nel sistema difensivo
e provocare la decisione della lotta si fece, inoltre, ricorso inizialmente
all'ampliamento di estensione delle fronti di attacco e dalla compattezza dei
dispositivi di penetrazione, densi nel senso della fronte ed in quello della
profondità sia per il numero degli elementi costituitivi sia per la scarsa
distanza intercedente fra gli elementi stessi.
Di fronte
alle ecatombi delle fanterie le cui ondate successive dovevano accavallarsi
l’una sull’altra - la seconda calpestando i morti della prima e così via - e
muovere alla velocità di qualche metro al giorno si cercò di correre ai ripari
affidando anche la penetrazione prevalentemente all'artiglieria e relegando la fanteria
al compito quasi passivo dell'occupazione del terreno preventivamente liberato da ogni ostacolo attivo e passivo della
difesa. Ma i
procedimenti di lotta non differirono sostanzialmente da quelli iniziali.
La brigata si schierava per ala anziché per linea, ma la fanteria combatteva
ancora ad ondate successive di tiratori in catena densa, quasi a contatto, e
profondamente scaglionate; erano spariti i sostegni, ma il battaglione si
disponeva su 4 ondate, la compagnia su 2, la catena a 2 passi d’intervallo
tra uomo e uomo; la prima ondata avanzava a sbalzi seguita dalla successiva a
distanza di 100 m e così via, ma tutte le ondate continuavano in pratica a
fondersi sulla prima. Il principio, che l'artiglieria
conquista la fanteria mantiene condusse gradualmente ad azioni di preparazione sempre più lunghe e
metodiche, a scindere l'azione generale in una serie di successivi attacchi
parziali cadenzati nel tempo, intervallati da soste più o meno prolungate per
riconoscere le resistenze avversarie e distruggerle preventivamente con il
fuoco, a restringere le fronti di attacco tra i 2.500 m (esercito francese) e
1.200 m (esercito tedesco), alla rinunzia ai principi della sorpresa,
dell'inganno e della continuità dello sforzo dando tempo al difensore di correre
alla parata e di annullare i vantaggi iniziali dell'attacco. Nel 1915: la
preparazione dell'artiglieria durò 4 ore nella battaglia dell'Artois (maggio);
24 ore in quella di Gorlice (maggio) e 75 ore in quella dello Champagne; nella
1^ e nella 2^ battaglia dell'Isonzo la preparazione di artiglieria fu assai
breve, ma con il risultato che i reticolati nemici rimasero intatti e la
fanteria attaccante vi rimase aggrappata con le pinze tagliafili nelle mani.
Nel 1916: nella battaglia di Verdun del 21 febbraio i tedeschi protrassero il
fuoco di preparazione per 9 ore e mezza; in quella della Somme del luglio i
franco-britannici fecero durare la preparazione poco meno di una settimana ed
in quella di Verdun 4 giorni e mezzo; in quella del Trentino gli austro-ungarici
24 ore, mentre gli italiani prepararono la 4^ battaglia dell'Isonzo con un
fuoco di artiglieria durato 8 ore. Nel 1917 a Messines (luglio) gli inglesi
schierarono 2.400 bocche di fuoco su 16 km; a Verdun (20- 26 agosto) i francesi
batterono una fronte di 17 km per 7 giorni con 2.332 pezzi consumando 3 milioni
di proietti da 75 e 1 milione di proiettili di calibro maggiore, mentre a
Malmaison l'artiglieria francese, forte di 624 pezzi da 75, di 986 pezzi
pesanti e di oltre 270 bocche da fuoco di trincea, sparò per 6 giorni e 6 notti
su di una profondità di soli 800 m; nel.’11^ battaglia dell'Isonzo il tiro di
preparazione si iniziò alle 14 del giorno 17 agosto contro i gangli vitali
della difesa, continuò per tutta la notte successiva e dalle 6,30 del giorno 18
fino alle prime ore del giorno 19, e vi presero parte tutte le artiglierie
schierate dall'Idria al Timavo. Malgrado ciò i risultati furono tutt'altro che
incoraggianti. Nonostante che fosse stata diminuita la densità della catena di
fanteria aumentando a 4- 5 passi gli intervalli tra i tiratori, e la fanteria
fosse stata gradatamente dotata in misura maggiore di bombe a mano, di
lanciafiamme e di batterie leggere di accompagnamento, prevalse per quasi tutto
il 1917 il concetto di arrestare la fanteria al limite della zona di battuta
dall'artiglieria, e cioè prevalse la tattica degli obiettivi limitati e vicini,
la cui conquista andava ogni volta preparata da una potente azione dell'artiglieria. La tattica dell’attacco intermittente - penetrazione per successivi obiettivi, con il progressivo metodico
spostamento in avanti del fuoco, mediante combattimenti intervallati da pause
di sospensione - prima in parte abbandonata, poi nuovamente accettata, confermò
di nuovo che la soluzione del problema non stava né nell'assegnare
all'artiglieria un ruolo primario anche nella fase di penetrazione, né nel
restringere le fronti d’investimento e nell’aumentare la densità del fuoco (1
lanciabombe, 1 pezzo da campagna, 1 pesante ogni 30- 20 m) con il lancio di 900
kg di proietti per ogni metro quadrato, ma piuttosto nell’ideare mezzi nuovi e
procedimenti diversi che ubbidissero, in ogni caso, ai precetti della sorpresa,
dell'inganno e dell'economia e delle forze, inteso questo ultimo soprattutto
come risparmio di vite umane e di materiali. I tedeschi, in verità, creatori
della tattica dell'attacco intermittente,
avevano in precedenza, fin dal 22 aprile 1915, esperimentato un mezzo diverso
di neutralizzazione delle difese attive mediante l'impiego dei gas ad Ypres, ed
erano riusciti in meno di 2 ore ad aprire una breccia di oltre 6 km di
profondità eliminando dalla lotta 2 intere divisioni francesi; non da meno
erano stati gli inglesi più di un anno dopo, quando il 15 settembre 1916
impiegarono per la prima volta, nella battaglia della Somma, il carro armato. I
gas inflissero ai difensori dal 22 aprile al 1 maggio perdite doppie di quelle
subite dagli attaccanti, ma i tedeschi non furono pronti a sfruttare gli
effetti sicché, superata la sorpresa iniziale, una volta entrati nell’ impiego
normale, i gas non furono più mezzo idoneo a rompere l'equilibrio statico tra
offesa e difesa, sia per le limitazioni alle quali erano soggetti, sia per le
contromisure che vennero adottate da entrambe le parti, sia perché ben presto
disponibili presso entrambi gli opposti schieramenti; essi tuttavia
consentirono la riduzione della durata dei tempi di neutralizzazione delle
difese attive. (Da Filippo Stefani, Storia della Dottrina e degli Ordinamenti dell'Esercito Italiano) continua con post in data 10 maggio 2020
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