martedì 30 marzo 2021

Maria Luisa Suprani Querzoli.

 

La scomparsa improvvisa del Capo di Stato Maggiore Alberto Pollio

alla vigilia della Grande Guerra


 

Chi si accinge allo studio della Grande Guerra   incontra  la figura di Alberto Pollio inevitabilmente collegata alla nomina a Capo di Stato Maggiore del Generale Luigi Cadorna (avvenuta a seguito della subitanea scomparsa del Generale casertano, suo predecessore). In prospettiva, lo spazio dedicato alla figura del Generale Pollio è davvero minimale rispetto sia al suo spessore sotto il profilo militare, sia alla portata delle conseguenze inerenti alla sua morte sulle sorti del Paese.

Egli era un convinto triplicista.

Proveniente dalla Nunziatella, approdò infine alla Scuola di Guerra di Torino. Le notevoli doti gli valsero la considerazione del Re Umberto I[1], anch’egli più vicino all’Austria di quanto non lo fossero gli Ufficiali piemontesi che vedevano in essa prevalentemente il nemico storico. 

Il regicidio colpì profondamente Pollio.

Se si compara, anche per sommi capi, l’indirizzo politico preso successivamente dall’Italia con le convinzioni radicate e lo spessore militare notevole[2] di Pollio i dubbi che circondano tuttora la sua prematura scomparsa sembrano assumere una certa consistenza. Il viaggio a Torino in ottime condizioni di salute, una lieve indigestione rivelatasi subdolamente fatale, le inspiegabili  infrazioni sul piano formale[3] rendono legittimo interrogarsi sulle reali dinamiche della morte dell’uomo di vertice dell’Esercito Regio: la sua presenza costituiva un fiero ostacolo sul piano politico, insormontabile  tanto da oscurare le sue innegabili capacità sul comando degli uomini e sull’impiego efficace delle nuove tecnologie. Inutile riflettere su ciò che non fu. Risulta opportuno invece ricordare che, dopo la XII Battaglia dell’Isonzo, il comando del Regio Esercito fu affidato al generale Diaz, fermo nel trattare con l’interlocutore politico, vicino al Generale Pollio da molti anni[4], allo stesso Diaz al quale per primo pervenne la comunicazione della morte improvvisa del Capo di Stato Maggiore con la pietosa consegna di comunicare la notizia ferale alla famiglia.  



[1] «L’ultima volta che lo vidi a Napoli fu il giorno dell’attentato di Passanante. Eravamo schierati davanti al Palazzo Reale, attendendo l’arrivo del Sovrano che faceva il suo ingresso ufficiale. Ad un tratto da Toledo vedemmo spuntare Pollio al galoppo, passare davanti a noi stravolto in viso e l’udimmo gridare al mio capitano: «Hanno pugnalato il Re» e poi sparire entro il palazzo» (E. De Rossi, La vita di un ufficiale italiano sino alla guerra, Milano: Mondadori, 1927, p. 22).

[2] L’anno precedente alla nomina a Capo di Stato Maggiore così veniva descritto Alberto Pollio da un suo Superiore: «ha tutti i requisiti per raggiungere i più elevati gradi della gerarchia; e più si troverà in posizione eminente, meglio potrà esplicare tutta la sua intelligenza, operosità ed iniziativa e saprà acquistare quell’ascendente tanto necessario per ottenere il volonteroso concorso di tutti nella attuazione dei suoi concetti … Auguro, nell’interesse dell’Esercito, che egli possa in più vasto ambiente mettere in luce tutto il suo valore» (I Capi di Stato Maggiore dell’Esercito – Alberto Pollio – 4 Roma: Comando del Corpo di Stato Maggiore dell’Esercito, 1935, p. 10  in G. Catenacci, F. M. Di Giovine, Il Generale Alberto Pollio: dalla Nunziatella ai vertici dello Stato Maggiore del Regio Esercito Italiano, Scuola Militare Nunziatella, Società di Storia di Terra di Lavoro; Associazione Nazionale ex Allievi Nunziatella; Sezione Campania e Basilicata, Civitella del Tronto, 21 marzo 2015, p. 9). La testimonianza di un giovanissimo Eugenio De Rossi è conferma al giudizio espresso dal Superiore circa l’ascendente personale: «Ritornammo a Napoli ed alla stazione trovammo il capitano Pollio di Stato Maggiore. Rassomigliare a Pollio era il sogno di noi ragazzi. Egli allora era un bellissimo giovine, sempre inguantato, profumato, calzato a pennello. Alle parate non mancava mai di avvicinarsi a noi e rivolgerci qualche piacevolezza, facendo danzare un suo vivace morello» (E. De Rossi, La vita di un ufficiale italiano sino alla guerra, cit., p. 22).

[3] Il medico (la cui carriera paradossalmente decollò dopo l’infausto esito del suo operato) che si prese cura del Capo di Stato Maggiore non era un medico militare  (G. Catenacci, F. M. Di Giovine, Il Generale Alberto Pollio: dalla Nunziatella ai vertici dello Stato Maggiore del Regio Esercito Italiano, cit. p.15).

[4] Nel biennio 1895 – 96, Armando Diaz era in forze presso la segreteria del Generale Pollio.

sabato 20 marzo 2021

La testimonianza ‘a colori’ del Generale Giuseppe Musinu

 

Maria Luisa Suprani Querzoli

 


Il pensiero della Grande Guerra rimanda inconsapevolmente alle immagini d’epoca che ritraggono uomini impegnati allo stremo delle forze. Le imprese di alcuni, memorabili per arditezza e valore,  rimangono in qualche modo ancorate alla percezione di quel mondo in bianco e nero, distante dal tempo presente.

Giuseppe Musinu[1], Comandante del 2° Battaglione del 152° Fanteria ‘Sassari’, rappresenta l’essenza del valore militare espresso dal Soldato italiano nella Prima Guerra Mondiale.

La fierezza del suo assetto lo rese capace di risultare impermeabile sia ai pericoli che l’audacia dell’azione comportava, sia alle insidie della retorica, tesa a celebrarne successivamente le gesta. Per nulla interessato a pubblicare le sue memorie, preferì serbare nei ritmi lineari della quotidianità la sua visione del mondo e della guerra.

Non meraviglia quindi che il ricordo di una figura così vicina ai canoni militari del mondo antico risulti legata prevalentemente alla testimonianza orale, conservata attraverso trascrizioni di brani delle interviste da lui rilasciate e registrazioni audiovisive presenti tuttora in rete[2].

 L’intervista televisiva, realizzata in occasione del suo centesimo compleanno, esaurite le domande di rito inerenti all’età ragguardevole,  vira rapidamente sulla sua esperienza di guerra. La paura della morte[3] viene superata dalla chiarezza morale del Soldato capace di concentrarsi, senza la minima enfasi, sulle priorità essenziali, ovvero sulla difesa della collettività di cui è parte[4]: «Chi è in guerra mette la propria vita a disposizione della Patria e per me la Patria è più di me»[5]. La stessa visione nitida scolpisce il concetto di ‘coraggio’, a cui è sotteso «il senso del dovere, fatto anche se tu devi morire»[6].

Fiero della sicurezza che il supporto della sua compagine sapeva fornire ai Soldati al fronte («Erano tanto contenti i compagni nostri, perché andavamo da una linea all’altra ed erano contenti che la Brigata Sassari fosse presente perché la Brigata Sassari dava un senso di tranquillità e di sicurezza»[7]), seppe proteggere i propri uomini («Io cercavo di fare quel che dovevo fare cercando di risparmiare i miei più che potevo e ci riuscivo perché i soldati che erano allora col Maggiore … Capitano Musinu facevano bene il proprio dovere. Però io ero con loro, eh»[8]. «I soldati ci stavano a sentire, non c’era bisogno di comandare. Noi eravamo lì davanti con l’esempio e loro seguivano»[9]) e, al contempo, esigere da loro senza riserve («Non ero tanto molle»[10]).

A conclusione dell’intervista, un applauso prolungato e riconoscente saluta chi, in modo essenziale e scabro, ha dimostrato nella massima semplicità che la vittoria nasce da una visione nitida delle priorità da cui il valore morale trae alimento.

 

 



[1] Giuseppe Musinu, Generale di Corpo d’Armata (Thiesi, 22 marzo 1891 -  ivi, 4 aprile 1992).

[2] Il riferimento è all’intervista al Generale Giuseppe Musinu presente all’indirizzo www.youtu.be/o_ytrMoUUU9A.

[3] «… la paura è un fatto personale. Si può averla o no. Si sapeva che dovevamo rimanere là e le pallottole come arrivavano per gli altri potevano arrivare anche per me. La paura non poteva aiutare, allora tanto valeva metterla da parte» (brano di una testimonianza orale del Generale Musinu in Giuseppe Musinu in www.brigatasassari.it).

[4]«Patria è la collettività nella quale vivo anch’io»(Giuseppe Musinu in www.youtu.be/o_ytrMoUUU9A).

[5] Ibidem.

[6] Ibidem.

[7] Ibidem.

[8] Ibidem.

[9]  Brano di una testimonianza orale del Generale Musinu in Giuseppe Musinu in www.brigatasassari.it.

[10] Giuseppe Musinu in www.youtu.be/o_ytrMoUUU9A.

martedì 9 marzo 2021

Austria - Ungheria Esercito Comune 1914 -1918

 

Le armate della Duplice Monarchia

Armeegruppe

Kövess, Armeegruppe, distaccamento di armata austro-ungarico, comandato dal GdI. Hermann Kövess von Kovessháza e costituito il 18 agosto 1914 con la 16a e 35a divisione di fanteria, già del XII. Korps, e la 7a e 9a divisione di cavalleria, inquadrato nella primavera del 1915 nell’Armee Woyrsch tedesca.

Pflanzer-Baltin, Armeegruppe, distaccamento di armata austro-ungarico, costituito il 3 ottobre 1914 comandato dal GdK. barone Karl von Pflanzer-Baltin.

Rohr, Armeegruppe, distaccamento di armata austro-ungarico, costituito il 27 maggio 1915 sul fronte carnico, al comando del GdK. Franz Rohr von Denta, e composto dalla 92a divisione di fanteria, 59a brigata da montagna e 57a mezza brigata, e dal VII. Korps.

Tersztyánszky, Armeegruppe, distaccamento di armata austro-ungarico, comandato dal GdK. Karl Tersztyánszky von Nádas, costituito il 5 giugno 1915 sui Balcani con la 59a e 61a divisione di fanteria, la 103a divisione di fanteria tedesca, i reparti confinari dei Rayon Banat e Syrmien e le guarnigioni delle piazzeforti.

Belluno, Armeegruppe, distaccamento di armata austro-ungarico, comandato dal FZM. Ferdinand Goglia, costituito il 6 gennaio 1918 col I., XV. e XXVI. Korps.

Woyrsch, Armeeabteilung, distaccamento di armata austro-ungarico, Sezione d’armata Woyrisch, costituita il 23 gennaio 1915 sul fronte russo e comandata dal GO. Prussiano Remus von Woyrsch. Era in effetti il Landwehrkorps tedesco su tre divisioni di fanteria, e con l’Armeegruppe Kövess (già XII. Korps) austro-ungarico costituiva nella primavera del 1915 l’Armee Woyrsch.