sabato 25 maggio 2019

Reggimenti Ussari Honved e loro distretti di reclutamento



Esercito della Duplice Monarchia 1914





Budapest, 1° reggimento ussari honvéd di Budapest, (m.k.budapest 1. Honved huszarezredi), con distretto di reclutamento Budapest
Debreczen, 2° reggimento ussari honvéd di Debreczen, (m.k. debrecezeni 2. Honved huszarezredi), con distretto di reclutamento Debreczen
Kassa, 5° reggimento ussari honvéd di Kassa, (m.k. Kassai 5. Honved huszarezredi), con distretto di reclutamento Kassa
Marosvasàrhely, 9° reggimento ussari honvéd di Marosvasàrhely,, (m.k. marosvasàrhely 9. Honved huszarezredi), con distretto di reclutamento Marosvasàrhely
Pàpa, 7° reggimento ussari honvéd di Pàpa, (m.k. pàpa 7. Honved huszarezredi), con distretto di reclutamento Pàpa
Pécs, 8° reggimento ussari honvéd di Pécs, (m.k.pécs 8. Honved huszarezredi), con distretto di reclutamento Pécs
Szabadka, 4° reggimento ussari honvéd di Szabadka, (m.k. szabadkai 4. Honved huszarezredi), con distretto di reclutamento Szabadka
Szeged, 3° reggimento ussari honvéd di  Szeged, (m.k. szegedi 3. Honved huszarezredi), con distretto di reclutamento Szeged
Warasdin, 10° reggimento ussari honvéd di Warasadin, (m.k. warasadin 10. Honved huszarezredi), con distretto di reclutamento Warasadin
Zalaegerszeg, 6° reggimento ussari honvéd di Zalaegerszeg, (m.k.budapest 6. Honved huszarezredi), con distretto di reclutamento Zalaegerszeg


martedì 21 maggio 2019

Operazioni dell'Estate del 1917 sul fronte italiano



La battaglia dall'Idria al Timavo
(Agosto- Settembre 1917)
L'offensiva di primavera era appena terminata è già l’esercito nostro si preparava a nuovi cimenti. Le unità provate nella battaglia del maggio venivano rapidamente completate, le armi logorate erano sostituite e le dotazioni di materiale aumentate; il lavoro tornava a fervere fecondo nei campi di istruzione e di addestramento.
Contemporaneamente, lungo la fronte, all’attività violenta della battaglia subentravano il lavorio quotidiano di vigilanza e afforzamento, le ricognizioni di pattuglie, i tiri di molestia delle artiglierie, le piccole azioni di logoramento. Si ricostituivano i depositi di munizioni, si piazzavano nuove bocche da fuoco, si provvedeva all’apertura di nuovi camminamenti, allo scavo di numerose caverne, difensive per proteggere le truppe dalla violenza del tiro avversario, ed offensive per tenere prossimi alla linea nemica durante la preparazione di artiglieria i riparti destinati a costituire le ondate d’assalto.
Nella prima quindicina di agosto il nostro esercito era magnificamente pronto per dare un nuovo poderoso urto all’avversario.
Tale urto era richiesto dalla situazione generale degli alleati: l’offensiva anglo-francese in preparazione; la necessità di alleggerire per quanto possibile la fronte russo-rumena della pressione nemica sempre più minacciosa; la speranza di fare rallentare la spinta austro-tedesca in Galizia nella presunzione che, scemata questa, sarebbe stato più facile all’esercito russo il riorganizzarsi. D’altra parte il Comando Supremo, attaccando, si manteneva fedele al concetto dominante le nostre operazioni: quello cioè di non dar tregua al nemico, di logorarne le forze, non solo con l’attrito continuo delle azioni quotidiane, ma con i colpi poderosi delle grandi battaglie.
L’avversario non ignorava il nostro attacco. Non è possibile oggi tenere nascosta l’immensa somma di preparativi, la raccolta di mezzi numerosi e poderosi quali quelli che noi ci accingevamo ad impiegare. E d’altra parte ci era perfettamente noto che il nemico aveva di molto accresciuto le proprie forze e i propri mezzi di difesa e di offesa, ciò che rendeva indispensabile da parte nostra una preparazione assai più vasta, per uno sforzo di gran lunga superiore a tutti i precedenti.
Il Comando Supremo, perfettamente edotto dello schieramento del nemico, indice delle sue prossime intenzioni; sicuro delle proprie condizioni di efficienza sulla fronte tridentina, tali da poter parare ad un eventuale attacco avversario da quella parte, decise di assalire sulla fronte giulia.
L’intendimento fu quello di eseguire un attacco a fondo sull’intera fronte da Tolmino al mare, dislocando le riserve delle armate e del Comando Supremo in modo che potessero con prontezza accorrere su quel qualunque settore dove fosse riuscito lo sfondamento, per allargare la breccia e spingere risolutamente l’avanzata.
Ed invero, determinatosi lo sfondamento della fronte nemica sull’altopiano di Bainsizza, il Comando Supremo spostò rapidamente verso di esso le riserve, mentre faceva seguitare la pressione sul Carso.
Affermatosi il successo col vittorioso procedere delle nostre truppe sull’altopiano di Bainsizza, alle truppe del Carso fu fatto assumere atteggiamento potenziale per approfittare anche di qualsiasi segno di indebolimento dell’avversario da quella parte.
Nell'applicazione tattica di tale concetto strategico, la battaglia dall’Idria al Timavo può considerarsi divisa schematicamente in distinti momenti:
L’attacco su tutta la fronte e il passaggio dell’Isonzo; la manovra di sfondamento sulla Bainsizza e la formidabile pressione sul Carso; l’avanzata sull’altopiano di Bainsizza.

giovedì 16 maggio 2019

Mezzi speciali in Azione



Il forzamento di Pola con il barchino "Grillo" (14 maggio 1918)

Il rapporto del comandante Pellegrini, che, essendo rimasto prigioniero, non potè farlo pervenire in Italia se non molto tempo dopo l'impresa così recita:
"Missione del Grillo" nella notte dal 13 al 14 maggio 1918.
"Mi pregio riferire alla E. V. quanto segue circa il tentativo fatto col galleggiante speciale "Grillo" nelle prime ore del 14 maggio per penetrare nel porto di Pola e silurarvi una nave nemica.
"Lasciato libero dal capitano di vascello Ciano Costanzo, alle 02,20 circa, a metà della congiungente Punta Peneda – Capo Compare, avendo già approntati i siluri per il lancio e tenendo l'equipaggio sdraiato in coperta ho proseguito navigando alla massima velocità dirigendo per Greco in modo da avvicinarmi, come da istruzioni, all'isola di S. Girolamo. Durante questa rotta sono stato illuminato diverse volte dal proiettore di Capo Compare e di queste accensioni ho approfittato per giudicare, rilevandolo, della mia posizione. Ho cambiato rotta dirigendo per scirocco e messo alla minima velocità (per non far rumore) quando per la vicinanza all'isola di S. Girolamo ho giudicato di essere sul punto dal quale sarei andato ad incontrare normalmente il primo gruppo delle ostruzioni del porto in prossimità della loro parte mediana.
"Durante quest'ultima rotta che ho compiuta, senza che venisse acceso nessun proiettore, e col cielo, contrariamente a quello che era stato fno a poco tempo prima, completamente rasserenato, ho avvistata l'estremità del molo e Punta Cristo (che mi ha dato modo di controllare che la rotta che seguivo era quella che volevo io) e poco prima di essere sulle ostruzioni un galleggiante che ho giudicato essere ilguardaporto. Ho constatato che esso era ormeggiato parallelamente alle ostruzioni e ad un centinaio di metri circa dal molo. Non distinguendolo io nitidamente ed essendomi poco dopo apparsa la prima ostruzione, non ho deviato dalla mia rotta sia per la speranza, essendo io più piccolo, di non essere visto, sia perchè se avessi accostato a sinistra (come avrei dovuto fare per allontanarmi) avrei dovuto mettermi quasi normalmente a lui con maggiore probabilità di essere scorto.
"Ho fatto passare il fuochista scelto Corrias Giuseppe dal centro a poppavia per la manovra del timone che avrebbe fatta insieme al 2° capo silurista Milani Antonio. Questi si trovava già a poppa perchè incaricato durante l'avvicinamento alle ostruzioni di coprire il boccaporto entro il quale mi chinavo per manovrare i motori onde evitare che all'esterno si vedessero le scintille che facevano i relativi reostati. Il marinaio scelto Angelino Francesco è rimasto (dove era già stato destinato prima) a prora.
"Pochi istanti prima di essere sulle ostruzioni, una voce proveniente dal guardaporto ha dato, credo, il "Chi va là". Non ho risposto e data la vicinanza delle ostruzioni ho fermato l'elica, per evitare rumore arrivandovi sopra con troppo abbrivo, e messo in moto le catene. Alle 03,25 i denti delle catene hanno fatto presa sulla prima ostruzione, e pochi istanti dopo, un proiettore acceso sul guardaporto, dopo brevissima rettifica, mi ha illuminato a proravia del traverso a dritta e da questo momento mi ha tenuto sotto il suo fascio. A questo proiettore ha seguito poco dopo quello debole e rossastro di Punta Cristo che illuminandomi al traverso a sinistra ha illuminata anche l'estremità del molo. Subito dopo essere stato illuminato dal proiettore del guardaporto sono partiti, ho avuto l'impressione, dal guardaporto, i primi colpi di fucile diretti contro il "Grillo" e poco dopo quelli di mitragliatrice e di un cannone di piccolo calibro, e, mentre stavo passando la prima ostruzione, dall'estremità del molo sono stati sparati successivamente due very bianchi. Il fuoco ha seguitato da questo momento ininterrottamente fino a quand, come dirò in seguito, non ho fermato il "Grillo" per affondarlo.
"Un terzo proiettore, molto più potente dei due altri, è stato acceso da una nave all'interno (forse quella di cui prima mentre mi avvicinavo a S. Girolamo avevo visto profilarsi confusamente la sagoma nell'avvallamento del porto) e mi ha illuminato di prora.
"Durante il passaggio della prima ostruzione, che sarà durato circa due minuti, ho riscontrato che il primo gruppo delle ostruzioni era formato nel modo che sapevo già per le informazioni avute al riguardo, con l'aggiunta però di una ostruzione in più di quelle centrali. Questo primo gruppo era così costituito da cinque linee di ostruzioni. Le due esterne erano formate da travi (lunghi  circa 4 metri) posti normalmente all'ostruzione e tenuti riuniti fra loro da tre gruppi di cavi di acciaio che correvano longitudinalmente dal molo a Punta Cristo, il centrale (emerso) al di sopra della metà, ed i laterali (immersi) al di sotto delle estremità dei singoli travi. Le tre interne erano formate da travi posti longitudinalmente riuniti  fra loro con anelli di ferro ed ormeggiati a boe sferiche. Data la piccola distanza fra una ostruzione e l'altra (circa 20 metri) ho detto a poppa di non mettere le chiavette, quando passata l'ostruzione, avrebbero ammainato il timone, ma tenerlo a posto solo con le mani; così infatti ho navigato fra una ostruzione e l'altra.
"Il passaggio della 2°, 3° e 4° ostruzione è stato molto celere oltre che per il tipo di ostruzione anche perchè io ho tenuto in moto l'elica fino a quando l'ostruzione non è arrivata a poppavia del boccaporto di poppa. Il congegno delle catene nel superare i due tipi di ostruzione si è dimostrato ottimo.
"Mentre stavo fra la 3° e la 4° ostruzione ho visto un fanale rosso, al di là delle ostruzioni e dei fasci dei proiettori, che si spostava, non molto velocemente, dal molo verso di me. Ho immaginato che questo fanale fosse quello di una imbarcazione di guardia che venisse, in rinforzo al guardaporto, ad impedirmi l'entrata nel porto, e mentre fino allora, nonostante il fuoco che veniva fatto contro il "Grillo", mi era sorrisa la speranza di riuscire a passare anche il secondo gruppo di ostruzioni, e di lanciare per lo meno contro la nave che mi illuminava col suo proiettore, ora invece per il sopraggiungere di questa imbarcazione vedevo che avrei dovuto, in mancanza di meglio, lanciare non appena avessi superata l'ultima ostruzione del primo gruppo.
"Nella previsione di superare questa ostruzione dicevo all'equipaggio di tener pronte le Ghilsenti pensando che ne avrei dovuto far certo uso per tener lontana detta imbracazione quando oltrepassata la 5° ostruzione avrei lanciato.
"Il fanale rosso scompariva un pò dietro il guardaporto e poco dopo, mentre oltrepassata la 4° ostruzione avevo rimesso in moto per avvicinarmi alla 5°, mi accorgevo che sarebbe arrivato sul punto dove io avrei superata questa ostruzione, al più tardi pochi istanti dopo che io avrei incominciato a superarla.
"Seguitando ad andare avanti mi arei trovato così per circa un minuto e mezzo quasi fermo sull'ostruzione con una barca armata che, data la vicinanza, avrebbe certamente, danneggiandolo, fermato il "Grillo" sulla ostruzione. Ho considerato allora impossibile qualsiasi tentativo di lancio e intile quindi ogni ulteriore proseguimento.
"Date le consegne avute circa la distruzione del "Grillo" ho deciso di affondarlo dove ero e, fermata l'elica e le catene, ho detto a Corrias di aprire la valvola di affondamento, il che egli subito è corso a fare. Mentre davo indietro per fermare l'abbrivo che avevo, la barca di ronda mi è arrivata di prora (al di là della 5° ostruzione) ed ha dato anch'essa indietro.
"Salito Corrias in coperta, mi sono chinato io stesso (per fare più presto) entro il boccaporto per accendere la miccia per far saltare il "Grillo" dopo di che ho verificato che la valvola di affondamento fosse bene aperta. Avendone la pressione dell'acqua tenuto il coperchio aderente al seggio e non irrompendo quindi l'acqua nello scafo che in piccola quantità, ho affondato detto coperchio, dopo di che mi sono rimesso al mio posto. Ho trovato il "Grillo" traversato di circa 40° sulla dritta e la barca di ronda ad una quarantina di metri che non faceva niente.
"Ad un Lanciamo?" di Corrias quando sono tornato in coperta ho pensato di lanciare i siluri per impedire che gli austraici pescando il "Grillo" potessero recuperarli. Volendo lanciare verso il centro del porto ho rimesso in moto mettendo tutto il timone a sinistra e dicendo a poppa di star pronti a lanciare. Il motore si è messo in moto ed il "Grillo" ha iniziato velocemente l'accostata; ma poco dopo essendosi il motore fermato per l'acqua che incominciava a bagnare il collettore il "Grillo" seguitava ad accostare lentamente. Arrivato normalmente all'ostruzione ho detto di lanciare; e Corrias, che poco prima si era portato da poppa al centro, lasciando al timone Milani, ha dato una pedata all'apposita leva della tenaglia a sinistra e poi a quella di destra senza primi ricordarsi di togliere, cosa che anche a me in quel momento è acaduta, il relativo spillo di sicurezza. I siluri, così, non sono stati lanciati.
"Durante quest'ultima fase era cessato il fuoco che veniva fatto contro di noi, forse nella credenza che fossimo stati colpiti e impossibilitati a muoverci, e nonostante la continuità del fuoco, eccettuati colpi di fucileria che ho sentito colpire varie volte le parti metalliche nessun'altro colpo aveva fino allora raggiunto il "Grillo". La messa in moto ha tolto questa credenza, chè pochi istanti dopo che Corrias aveva cercato di lanciare mentre con Angelino ritentava il lancio usando la leva a mano, un colpo di cannone ha colpito il "Grillo" (credo in coperta a dritta) quasi nel mentre che questo, per l'acqua imbarcata si raddrizzava verticalmente.
"Mi sono trovato così improvvisamente in acqua ( con tutti gli altri) ed il "Grillo" è affondato prima ancora che mi fossi formata una idea precisa del dove fosse stato colpito e prima che avessi potuto fare alcun segnale. Attorno a me erano gli altri dell'equipaggio tra i quali Angelino ferito ad un braccio.
"Con Corrias ho aiutato questi e l'ho trascinato a nuoto verso la 5° ostruzione fino a quando, accorgendomi che mi avvicinavo invece alla 4° (v'era corrente crescente) ho nuotato verso questa e, raggiunta, vi sono rimasto aggrappato sostenendo sempre, insieme a Corrias, Angelino. Milani ha raggiunto intanto la barca di ronda che si era attaccata al 5° ostruzione e col battello ha cercato di venire a prender Angelino.
"Circa un quarto d'ora dopo che eravamo in acqua, uno scoppio subacqueo seguito da numerosissime bolle d'aria, mi ha edotto della esplosione di una delle due bombe del "Grillo". Sono rimasto in acqua, in attesa di un battello piccolo che riuscisse a sorpassare la quinta ostruzione per poter poi trasportare Angelino, circa tre quarti d'ora, dopo di che lasciato questi su di un rimorchiatore, sul quale dei medici hanno subito incominciato a medicarlo, io e Corrias siamo stati portati con una barca a vapore (erano le 04,30) sulla "Viribus Unitis".
"Quivi all'infermeria di bordo, dove abbiamo trovato Milani che vi era stato condotto poco prima, siamo stati vestiti, con tenute di macchina da marinaio e poco dopo portati tutte e tre alle carceri militari marittime di Pola".
Il capit. di fregata
f.to MARIO PELLEGRINI

I motoscafi che si trovano all'esterno e presso la diga e le torpediniere che erano al largo avevano seguito le fasi dell'arrischiata missione per mezzo degli indizi che potevano ad essi pervenire. Avevano udito due esplosioni, una delle quali era querlla causata dalla bomba impiegata per la distruzione del "Grillo"; ed esse con i segnali a razzi, fatti effettivamente dagli austriaci come segnali d'allarme, ma corrispondenti in tutto a quelli concordati con il comandante Pellegrini nel caso di riuscita dell'impresa, avevano indotto a pensare che il "Grillo" fosse riuscito a penetrare nella rada ed a silurare una delle navi maggiori nemiche. Naturalmente in seguito potè rendersi manifesto come le cose si erano svolte; ma il mancato obiettivo, in una sì difficile operazione, non menomò assolutamente il merito degli audaci uomini che con tanta perseveranza e con tanto ardire avevano tentato l'impresa

sabato 4 maggio 2019

Il Milite Ignoto, Nota a margine



Il viaggio dell’Eroe
Lungo l’Italia seguendo il Milite Ignoto

Di Giovanni Cecini

Ogni Nazione si alimenta attraverso una liturgia civile, mediante riti e cerimonie uniche e irripetibili. La guerra, come fenomeno collettivo di rigenerazione sociale e di rinascita patriottica, ha molto spesso rappresentato l’araba fenice per i popoli con l’obiettivo di riaffermare i propri valori e peculiarità. In epoca contemporanea, dopo il grande sconvolgimento politico operato dalla Rivoluzione francese, il concetto di conflitto nazionale ha aumentato a dismisura la sua potenza, tanto da alimentare sempre più emulazione e desiderio di partecipazione. In questa logica si spiegano le grandi adesioni nelle guerre dell’Ottocento, fino alle catastrofi planetarie della prima metà del Novecento, con strascichi ancora fino ai giorni nostri.
La Grande Guerra, per la sua collocazione quasi a cerniera di due epoche, con le sue grandi trasformazioni sociali, tecniche e ideali, ancora oggi rappresenta un avvenimento mitizzato da larga parte della memorialistica e da una grossa fetta della storiografia. Sarà stato per il canto lirico di numerosi poeti, che vi parteciparono, o per il fulgido volontarismo di una nuova generazione di giovani, che questo conflitto, molto più di altri precedenti o successivi, ha incarnato in ampi strati collettivi il senso autentico di Patria, Nazione e Popolo, nelle loro più ampie accezioni. Per fare solo un esempio: i socialisti di quasi tutti i Paesi europei, di massima contrari all’uso delle armi tra i popoli, in quella circostanza fecero causa comune con i destini dei propri Governi, identificando il nemico borghese nell’avversario nazionale, espediente classico per ogni crociata salvifica.
Anche l’Italia ha partecipato a questa grande “festa” patriottica, in cui contribuirono non solo alcuni retaggi socio-politici risorgimentali, ma anche uno strato culturale diffuso di intellettuali di ogni colore politico. Al termine del conflitto, giudicato dai contemporanei con ingenuo ottimismo l’ultimo da combattere, la pace vittoriosa – nonostante le ricorrenti polemiche sul rapporto tra i sacrifici sofferti e i ricavi ottenuti – doveva essere celebrata, proprio perché frutto di una partecipazione unanime di tutto il Paese.
E’ per questo motivo che, nel bel mezzo del cosiddetto “Biennio rosso” e delle gravi fratture socio-economiche dovute al conflitto, il desiderio da parte dello Stato di unificare tutto il popolo italiano ripercorse i passi del sentimento patriottico.
Fu di Giulio Douhet l’idea di istituire anche in Italia, a imitazione di altri Paesi, la figura del Milite Ignoto: un soldato sconosciuto e non identificabile che potesse per questo motivo ricordare e onorare tutto il valore e il coraggio offerto dalle Forze Armate nazionali. A seguito di questa proposta, nell’estate del 1921 il Governo predispose attraverso un’apposita commissione la scelta del corpo da onorare e tutto il relativo cerimoniale.
In pochi mesi si arrivò quindi alla solennità in cui, nella basilica di Aquileia il 26 ottobre, Maria Bergamas – madre di Antonio, un disertore austriaco triestino volontario italiano caduto in combattimento e mai ritrovato – scelse tra 11 bare identiche quella che sarebbe divenuta il simbolo assoluto del sacrificio in guerra. Una volta individuata, il Milite Ignoto iniziò il suo viaggio che lo avrebbe portato a Roma. Durante i quattro giorni, che occorsero al treno speciale per raggiungere la Capitale, ali di folla in ogni stazione e in ogni punto della ferrovia onorarono il feretro e così testimoniarono il proprio attaccamento a quello che per ognuno poteva essere un figlio, un fratello, un marito o un padre.
Arrivato alla Stazione Termini, dopo una nuova solenne cerimonia presso la basilica di Santa Maria degli Angeli all’Esedra, il corteo il 4 novembre continuò lungo le gremite strade della città, dove proseguì l’entusiasmo e l’attaccamento al primo caduto d’Italia. Il Sovrano e tutte le autorità civili e militari seguirono l’avvenimento, come comparse di uno spettacolo, in cui il protagonista solo formalmente rimaneva anonimo di fronte al solenne calore, che creava nei cuori degli italiani.
Una volta giunto a Piazza Venezia, presso il Vittoriano che fino ad allora tra mille polemiche era semplicemente la cornice per glorificare il Risorgimento e Vittorio Emanuele II, l’apice della liturgia civile trovava luogo. Il corpo del soldato, inserito nel cuore del monumento, sotto al bassorilievo della dea Roma, da quel momento diveniva il centro ideale e spirituale di ogni patriottismo passato, presente e futuro.
Esattamente a 90 anni di distanza, quando ancora l’Altare della Patria è  il palcoscenico unico e ineguagliato di cerimonie e manifestazioni nazionali, un nuovo convoglio ferroviario ha percorso lo stesso itinerario, rammentando a tutti gli italiani il senso di quell’indimenticabile esperienza. Moltissimi sono stati i partecipanti all’iniziativa, basata su una mostra fotografica e documentale itinerante, che ha ricordato i fatti dell’epoca. La conclusione non poteva che essere di nuovo a Roma, dove a partire dal Presidente della Repubblica e dal Ministro della Difesa, sono stati tanti i cittadini, che a costo di lunghe file, hanno voluto visitare i vagoni offerti dalle Ferrovie dello Stato per questa incredibile iniziativa.
Il nostro plauso va agli organizzatori e a tutti coloro che hanno partecipato.

venerdì 3 maggio 2019

LIna della Pietra. Una icona della Grande Guerra


Ripubblichiamo un articolo già apparso su www.valoremilitare.blogspot.com







L’ultima portatrice carnica: Lina Della Pietra

di Maria Teresa Laudenzi

Lina Della Pietra, ultima portatrice carnica, era nata il 9 maggio 1905,a Zovello ( Zuviel ) - 921 m.s.l.m. 186 abitanti -, frazione del  Comune di Ravascletto. in friulano anche Monai,  della Provincia di Udine, composto  delle frazioni di Zovello e Salars , nella Valcada, una delle sette Valli della Carnia, note già nel 1200 dai cramars “, venditori ambulanti girovaghi che cercavano fortuna, muniti dalla sola “ crassigne “, mobiletto in legno con cassetti , carico di spezie, stoffe, erbe, calzature e prodotti artigianali della zona.  
La zona della Carnia, dove si trovavano appostati 31 battaglioni, era talmente vitale da essere posta alle dirette dipendenze del Comando Supremo. Il valore di tale zona consisteva nel fatto che, realizzando uno sfondamento a Passo Monte Croce Carnico, l’esercito austriaco avrebbe potuto avere zona libera nelle Valli del But e Chiarsò, considerate le parti principali per invadere l’Italia. I 10.000 -12.000 uomini che presidiavano la Carnia dovevano essere vettovagliati ogni giorno, forniti di munizioni, medicinali. Quando il Comando Logistico e quello del Genio furono costretti a chiedere aiuto alla popolazione, ma tutti gli uomini erano alle armi , rimanevano a casa solo donne e bambini; le donne del Comune di Paluzza furono le prime a presentarsi “ Anin “ dicevano “ senò chei biadaz ai murin ancje di fan “ ( andiamo, altrimenti quei poveretti muoiono anche di fame ). Le portatrici avevano una età compresa  tra i 15 e 60 anni, munite di libretto personale, dove veniva segnato presenza,viaggi compiuti, materiale trasportato con le gerle e unità militare per la quale lavoravano. Ogni viaggio veniva compensato con lire 1,50 ( circa 3,50 € ) corrisposto ogni mese. Vettovagliamento, munizioni, materiale vario venivano caricati ogni giorno all’alba nei magazzini militari nelle gerle ( zèi – pronuncia gei in carnico , cesta di vimini intrecciati a forma di tronco di cono rovesciato, aperto in alto, con due spallacci, per essere portati sulle spalle. Nelle loro case venivano usate per trasportare fieno, legna, formaggio, vino,ecc.)  Partivano a gruppi di 15-20 senza guide, imponendosi una tabella di marcia, dopo percorso il fondo valle, con la gerla carica ( poteva pesare sino a 40 kg. ) “ attaccavano “ la montagna dirigendosi a   raggiungere  il fronte, a raggiera; Pal Piccolo, Pal Grande, Freinkofer. ( Alla fine di marzo durante violentissimi combattimenti con furibondi scontri all’arma bianca, che portarono alla perdita ed alla riconquista del Pal Piccolo, l’olocausto di sangue, largo e generoso  dei battaglioni Tolmezzzo e Val Tagliamento, per il superbo valore dimostrato già all’inizio della guerra, valse a far conferire alla bandiera dell’8° Reggimento Alpini la medaglia d’argento al valor militare ). Dalle 2 alle 5 ore di salita, superando dislivelli dai 600 ai 1.200 metri. Scaricato il materiale,sostavano pochi minuti,  ( qualche volta al ritorno, portavano a valle, in barella,i militari feriti o i caduti in combattimento ) poi la lunga discesa per ritornare a casa dove stavano in attesa vecchi e bambini. Accudivano gli animali nella stalla, nel cortile, facevano da mangiare. L’indomani all’alba si ricominciava. Una identità patriottica, religiosa, laboriosa, tenace e dalle esemplari tradizioni alpine, erano le doti delle portatrici carniche .Maria Plozner Mentil, quattro figlie ed un marito al fronte, venne uccisa il 15 febbraio 1916, , da un “ cecchino “ austriaco, a quota 1619, alla Casera Malpasso. Nello stesso anno, altre tre rimasero ferite : Maria Muser Olivotto, Maria Silverio Matiz di Timau e Rosaria Primus di Cleulis. Soltanto mezzo secolo dopo, il 1° ottobre 1997, il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, attorniato dalle più alte cariche dello Stato e della Regione, ha consegnato ai figli della Maria Plozner Mentil, Dorina e Gildo, la Medaglia d’Oro al Valor Militare concessa alla memoria della madre e baciata la mano a Lina Della Pietra.
A tutte le portatrici carniche venne concessa la medaglia d’oro Cavalieri di Vittorio Veneto ed un assegno annuo vitalizio di L.60.000 portato poi a L. 150.000.
La signora Elisabetta Zitelli che aveva ospitato la nonna Lina Della Pietra nel 1974, mi raccontò la storia della sua famiglia consegnandomi diverse fotografie, inedite, molto interessanti.
 Lina Della Pietra, faceva la ricamatrice da ragazzina,e dopo aver fatto parte delle portatrici carniche,come sua sorella Virginia, lavoro pericoloso quando si arrivava vicino al  fronte, perché dovevamo buttarci a terra per schivare le pallottole del nemico; dopo l’ottobre 1917, rimasta a Zovello, frequentava la parrocchia del paese,  dove aiutava il prete  a insegnare dottrina ( fatto inconsueto per i tempi di allora ); molto giovane ancora, sposò un fabbro, Giuseppe Casanova, andando a vivere in Francia  ad Arras capoluogo del Dipartimento del passo di Calais dove aprì una officina per automobili.. Ebbe due figli, Ettore nato il 4.4.1922 ed Elide nata il 30.10.1924, morta nel 1974,era mia madre aggiunse la signora Zitelli. Ritornata in Italia, per l’entrata in guerra con la Francia, dopo essersi alloggiata nelle case destinate ai rimpatriati, a Trieste, - nel 1974 trovò ospitalità a casa mia in viale Miramare, 171 Mio fratello Ettore andò negli Stati Uniti nel 1950 e ritornò in Italia per festeggiare i 100 anni della nonna Lina, rientrando nuovamente in America. Pochi mesi dopo morì anche la sorella Virginia ,portatrice carnica., . sorella di Lina . La signora Elisabetta Zitelli,  -aveva seguita sino sua alla morte la nonna Lina, avvenuta nel 2005. . Aveva 104 anni. Alle celebrazioni funebri nella Chiesa S.Bartolomeo di Barcola, solo i pochi parenti e amici, senza alcuna corona e messaggio da parte degli amministratori locali e dalle autorità politiche venisse recapitato ai familiari.. La signora  Zitelli  ,  concluse : La nonna Lina aveva ereditato dal suo passato la fatica abituata da secoli per l’estrema povertà di quelle zone ad indossare la “ gerla da casa “ ,- che mai come in questo caso , rappresentava il simbolo della donna carnica – ora la metteva sulle spalle al servizio della Patria.   Sono comunque fiera di quello che è stata e di quello che ha fatto “
                           Arrigo Curiel