giovedì 10 ottobre 2019

La Tattica nella Grande Guerra 1


Occorre armonizzare l'azione contro la fanteria con quella intesa a demolire gli altri mezzi di offesa (osservatori, lanciabombe, batterie, ecc.) cercando però sempre di conservare il maggior numero di artiglierie per agire di sorpresa contro la fanteria nel momento in cui si scopre per l'attacco; lo shrapnel è nella difensiva il proietto principale. Nell'istruzione sull'impiego della fanteria, un apposito capitolo fu dedicato al servizio di trincea dove, tra l'altro, si insisteva sulla necessità di tenere in trincea le forze strettamente indispensabili, di curare la sicurezza con poche truppe ma non stanche, di garantire l'osservazione delle linee nemiche, di sviluppare le piccole azioni di trincea svolte da pattuglie o da riparti audaci, di compiere i lavori fortificatori secondo le tecniche prescritte e di avvicendare le truppe frequentemente.
Nella seconda metà del 1917 i tedeschi impressero una nuova svolta all’azione difensiva: articolarono la posizione difensiva in 3 zone aventi ciascuna una funzione diversa; organizzarono e sistemarono le difese con maggiore riguardo all'idea direttrice della manovra da condurre di volta in volta che non alle formule e agli schemi stereotipati della dottrina; esaltarono la caratteristica della reattività destinando le riserve per distruggere le penetrazioni anziché per riconquistare le posizioni perdute. La prima zona - zona di copertura che oggi denominiamo zona di sicurezza - ebbe il compito di impedire e di contrastare la sorpresa ed i colpi di mano; la seconda zona di combattimento - che oggi denominiamo posizione di resistenza - quello di arrestare l'attacco mediante l'impiego degli elementi attivi e passivi dispersi in superficie, ma tatticamente bene collegati; la terza - che oggi denominiamo posizione di contenimento - scelta a non meno di 3-4 km dalla seconda e organizzata e sistemata sommariamente, ebbe la funzione di riserva fortificata per impedire il dilagamento in profondità dell'attacco ad avvenuta rottura della zona di combattimento. “La zona di combattimento è costituita di un complesso di reti di trincee multiple, camminamenti, punti di appoggio, profondo parecchi chilometri e diviso in settori, distanti l'uno dall'altro non meno di 3 km. La differenza tra questa concezione fortificatoria e quella del 1916 è radicale. Giova, ancora, avvertire che l'organizzazione di tali zone, più che dalle forme del terreno, dipende dall'idea direttrice posta a base della manovra difensiva prevista. Inoltre, circostanza assai importante, si ritorna sul concetto di destinare numerose mitragliatrici nelle prime linee da tenere fortemente…. La zona avanzata è portata, nel 1918, a più di 1.000 m., dove il terreno lo consente e le truppe ad essa destinate - avamposti veri e propri - devono essere appoggiate sul fianco della zona principale e ritirarsi di fronte al progresso dell'attacco su quest'ultima a priori fissata” (53).
Siamo di fronte ad un modo nuovo d’intendere la difesa al quale in breve tempo si uniformarono, nei criteri se non nelle modalità, tutti gli eserciti della fronte occidentale e di quella italiana ed al quale continueranno ad ispirarsi tutte le concezioni difensive future tra la prima e la seconda guerra mondiale e dopo.
(Da Filippo Stefani, Stroia dedella Dottrian e degli ordinamenti dell'Esercito Italiano):

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.