domenica 10 maggio 2020

La Tattica nella Grande Guerra 8

I carri armati furono impiegati prematuramente, mandati allo sbaraglio prima che i loro equipaggi avessero ultimato l'addestramento e prima che gli stati maggiori avessero avuto il tempo di riflettere sul modo migliore di impiegarli e di sfruttarne la combinazione di potenza di fuoco, di movimento e di protezione che essi racchiudevano in un solo strumento. Che il carro armato fosse l'antidoto giusto al binomio mitragliatrice-reticolato e, perciò il mezzo idoneo a superare la guerra di posizione che aveva ridotto la strategia bellica una semplice tecnica di logoramento (76), sarà compreso a Cambrai il 20 novembre 1917 e, soprattutto, l’8 agosto del 1918 quando gli inglesi li impiegarono a massa contro la 2^ armata tedesca ad est di Amiens; ma, in entrambe le circostanze, faranno egualmente difetto la capacità e la preparazione necessaria a comprendere che i carri non erano solo mezzi di rottura, ma anche e soprattutto di sfruttamento del successo.
Quando verso la fine del 1917 i tedeschi, dopo circa 3 anni, decisero di passare nuovamente all'azione offensiva sulla fronte occidentale, avevano pronta una nuova tattica che esperimentarono prima a Riga e poi a Caporetto. Con la tattica dell'attacco contro i punti deboli che essi adottarono, intesero: restituire alla fanteria il compito della conquista degli obiettivi; conferire alla fase di penetrazione carattere di potenza, continuità e flessibilità, da essi stessi sottratto con la tattica di intermittenza; rimettere in auge i principi della sorpresa, dell'inganno e dell'economia materiale delle forze per troppo tempo disattesi. La nuova tattica, alla quale ben presto si uniformarono gli altri eserciti e che costituirà la base delle dottrine offensive tra la prima e la seconda guerra mondiale, poggiò sui seguenti criteri fondamentali: preparazione dell'artiglieria non superiore alle 3-5 ore; smascheramento dello sforzo principale mediante il ricorso a sforzi finti di potenza iniziale non inferiore a quella dello sforzo principale; continui spostamenti di truppe nelle retrovie per disorientare il difensore; riduzione e, se possibile, annullamento delle soste attacco durante, mediante stretta cooperazione fanteria-artiglieria che assicuri, finché è possibile, l'appoggio mobile di fuoco, e mediante lo stretto coordinamento del movimento dei reparti fucilieri con il fuoco dei nuclei mitraglieri e lanciagranate, delle bombarde e dei cannoni di accompagnamento; sostituzione nelle formazioni della fanteria della riga con la fila come la più idonea al movimento e la meno vulnerabile; riduzione della densità della catena. In Piccardia nel marzo la preparazione di artiglieria durò 5 ore, in Fiandra nell'aprile 3 ore, sull’Aisne nel maggio 2 ore e 40 minuti, nello Champagne in luglio 5 ore 20 minuti sulla Marna 4 ore 40 minuti; a Caporetto nell'ottobre del 1917 ed a Banteux e Ventidue nel novembre i tedeschi avevano già attaccato dopo una preparazione brevissima, ma intensa, di granate a gas, fumogene ed esplosive; gli austro-ungarici nel giugno del 1918 aprirono il fuoco alle 3 del giorno 15, preceduti di mezz'ora dalla contropreparazione italiana, e mossero all'attacco 4 ore dopo. Prendere posizione durante la notte, non logorarsi contro i punti forti, sfruttare le occasioni favorevoli, insinuarsi nelle zone di maggiore facilitazione e di minore resistenza, non gettarsi in massa contro la fronte ma sondare i punti deboli, avviluppare e non battere contro: questi i canoni della nuova tattica e della nuova tecnica che modificarono sostanzialmente la fisionomia fino ad allora avuta dall'azione offensiva, che acquistò così un certo respiro. L'artiglieria smantella i punti forti, la fanteria manovra per farli cadere; le 2 armi riassumono i ruoli tradizionali. Ma il problema dell'azione offensiva non su risolto, solo reso meno difficile e costoso. Anche con la tattica e la tecnica precedenti, sia pure con costi insostenibili, si era riusciti talvolta a rompere le sistemazioni difensive ed a penetrarvi in profondità, ma erano mancati i mezzi idonei al dilagamento. E’ vero che spesso il dilagamento non c'era stato o per indisponibilità di riserve, o per la loro dislocazione eccentrica, o per colpa dei generali, ma la verità di fondo era stata l'idoneità del mezzo, perché la cavalleria, la cui iniziale insufficienza di capacità operativa era venuta vieppiù aumentando in proporzione geometrica con il progressivo accrescimento della robustezza delle difese, non era stata, non era e non sarà più in grado di esprimere la potenza necessaria a sfondare le barriere difensive che incontrava in profondità, e neppure a prevenirvi il nemico che non senza ragione le predisponeva così lontane.  La forza della tradizione, lo spirito di sacrificio, il coraggio ed il valore non erano più sufficienti a supplire la debolezza costituzionale di mezzi inidonei vulnerabili. La difesa ebbe sempre modo e tempo di correre alla parata anche quando l'attacco ruppe il muro e riuscì a sboccare in campo aperto, dove giunse però quasi sempre esausto e logoro, privo cioè della forza psicologica e materiale per spingersi con slancio in profondità. La cavalleria, che guerra durante aveva ricevuto nuovi mezzi di fuoco, non fu egualmente in grado di svolgere il suo compito principale e dové appiedare per combattere con procedimenti infanteristici nell'ambito delle azioni tattiche e delle divisioni e dei corpi d'armata.
 (Da Filippo Stefani Storia della Dottrina e degli Ordinamenti dell'Esercito Italiano). continua con post in data 10 giugno 2020

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