I carri armati furono impiegati
prematuramente, mandati allo sbaraglio prima che i loro equipaggi avessero
ultimato l'addestramento e prima che gli stati maggiori avessero avuto il tempo
di riflettere sul modo migliore di impiegarli e di sfruttarne la combinazione
di potenza di fuoco, di movimento e di protezione che essi racchiudevano in un
solo strumento. Che il carro armato fosse l'antidoto giusto al binomio
mitragliatrice-reticolato e, perciò il mezzo idoneo a superare la guerra di
posizione che aveva ridotto la strategia
bellica una semplice tecnica di logoramento (76), sarà compreso a Cambrai
il 20 novembre 1917 e, soprattutto, l’8 agosto del 1918 quando gli inglesi li
impiegarono a massa contro la 2^ armata tedesca ad est di Amiens; ma, in
entrambe le circostanze, faranno egualmente difetto la capacità e la
preparazione necessaria a comprendere che i carri non erano solo mezzi di
rottura, ma anche e soprattutto di sfruttamento del successo.
Quando verso la fine del 1917 i
tedeschi, dopo circa 3 anni, decisero di passare nuovamente all'azione
offensiva sulla fronte occidentale, avevano pronta una nuova tattica che
esperimentarono prima a Riga e poi a Caporetto. Con la tattica dell'attacco contro i punti deboli che essi
adottarono, intesero: restituire alla fanteria il compito della conquista degli
obiettivi; conferire alla fase di penetrazione carattere di potenza, continuità
e flessibilità, da essi stessi sottratto con la
tattica di intermittenza; rimettere in auge i principi della sorpresa, dell'inganno
e dell'economia materiale delle forze per troppo tempo disattesi. La nuova
tattica, alla quale ben presto si uniformarono gli altri eserciti e che
costituirà la base delle dottrine offensive tra la prima e la seconda guerra
mondiale, poggiò sui seguenti criteri fondamentali: preparazione
dell'artiglieria non superiore alle 3-5 ore; smascheramento dello sforzo
principale mediante il ricorso a sforzi finti
di potenza iniziale non inferiore a quella dello sforzo principale;
continui spostamenti di truppe nelle retrovie per disorientare il difensore;
riduzione e, se possibile, annullamento delle soste attacco durante, mediante
stretta cooperazione fanteria-artiglieria che assicuri, finché è possibile,
l'appoggio mobile di fuoco, e mediante lo stretto coordinamento del movimento
dei reparti fucilieri con il fuoco dei nuclei mitraglieri e lanciagranate,
delle bombarde e dei cannoni di accompagnamento; sostituzione nelle formazioni
della fanteria della riga con la fila come la più idonea al movimento e
la meno vulnerabile; riduzione della densità della catena. In Piccardia nel marzo la
preparazione di artiglieria durò 5 ore, in Fiandra nell'aprile 3 ore,
sull’Aisne nel maggio 2 ore e 40 minuti, nello Champagne in luglio 5 ore 20
minuti sulla Marna 4 ore 40 minuti; a Caporetto nell'ottobre del 1917 ed a
Banteux e Ventidue nel novembre i tedeschi avevano già attaccato dopo una
preparazione brevissima, ma intensa, di granate a gas, fumogene ed esplosive;
gli austro-ungarici nel giugno del 1918 aprirono il fuoco alle 3 del giorno 15,
preceduti di mezz'ora dalla contropreparazione italiana, e mossero all'attacco
4 ore dopo. Prendere posizione durante la notte, non logorarsi contro i punti
forti, sfruttare le occasioni favorevoli, insinuarsi nelle zone di maggiore
facilitazione e di minore resistenza, non gettarsi in massa contro la fronte ma
sondare i punti deboli, avviluppare e non battere contro: questi i canoni della
nuova tattica e della nuova tecnica che modificarono sostanzialmente la
fisionomia fino ad allora avuta dall'azione offensiva, che acquistò così un
certo respiro. L'artiglieria smantella i punti forti, la fanteria manovra per
farli cadere; le 2 armi riassumono i ruoli tradizionali. Ma il problema
dell'azione offensiva non su risolto, solo reso meno difficile e costoso. Anche
con la tattica e la tecnica precedenti, sia pure con costi insostenibili, si
era riusciti talvolta a rompere le sistemazioni difensive ed a penetrarvi in
profondità, ma erano mancati i mezzi idonei al dilagamento. E’ vero che spesso
il dilagamento non c'era stato o per indisponibilità di riserve, o per la loro
dislocazione eccentrica, o per colpa dei generali, ma la verità di fondo era
stata l'idoneità del mezzo, perché la cavalleria, la cui iniziale insufficienza
di capacità operativa era venuta vieppiù aumentando in proporzione geometrica
con il progressivo accrescimento della robustezza delle difese, non era stata,
non era e non sarà più in grado di esprimere la potenza necessaria a sfondare
le barriere difensive che incontrava in profondità, e neppure a prevenirvi il
nemico che non senza ragione le predisponeva così lontane. La forza della
tradizione, lo spirito di sacrificio, il coraggio ed il valore non erano più
sufficienti a supplire la debolezza costituzionale di mezzi inidonei
vulnerabili. La difesa ebbe sempre modo e tempo di correre alla parata anche
quando l'attacco ruppe il muro e riuscì a sboccare in campo aperto, dove giunse
però quasi sempre esausto e logoro, privo cioè della forza psicologica e
materiale per spingersi con slancio in profondità. La cavalleria, che guerra
durante aveva ricevuto nuovi mezzi di fuoco, non fu egualmente in grado di
svolgere il suo compito principale e dové appiedare per combattere con
procedimenti infanteristici nell'ambito delle azioni tattiche e delle divisioni
e dei corpi d'armata.
(Da Filippo Stefani Storia della Dottrina e degli Ordinamenti dell'Esercito Italiano). continua con post in data 10 giugno 2020
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