lunedì 30 agosto 2021

Quesiti sulla morte del Maggiore Francesco Baracca

 

Maria Luisa Suprani Querzoli


 

 

Il mistero continua tuttora ad avvolgere le dinamiche che determinarono la scomparsa del Maggiore il 19 giugno 1918 durante l’infuriare della battaglia sul Montello. Sarà interessante soffermarsi ed analizzare alcuni punti per diradare, nella misura in cui ciò è possibile, le incertezze alla base dei quesiti rimasti irrisolti.

 

a.      Il presupposto. «[T]utti gli autori danno per scontato che il corpo di Baracca sia stato sbalzato fuori dalla carcassa dello SPAD a causa della violenza dell’urto. Questo però potrebbe non essere affatto vero. Nel caso del sergente Nava infatti, è noto che le cose non sono andate in quel modo. Il suo cadavere si presentava discosto dai resti del proprio aereo perché gli Arditi del XXVII Reparto d’Assalto lo avevano spostato»[1]. Si può ipotizzare, non in assenza di argomentazioni, che siano stati gli Austroungarici a liberare il corpo del Maggiore Baracca dalle cinture: ciò potrebbe trovare conferma nella dichiarazione dell’identità del nemico abbattuto sul Bollettino di Guerra austroungarico del 20 giugno 1918, diffuso immediatamente dalla stampa locale[2].

b.      La versione italiana (morte per fuoco nemico da terra), giustificatissima sul piano bellico e politico data la criticità del momento, dal punto di vista storico mostra fragilità evidenti: le testimonianze dell’Osservatore austroungarico a cui è stata attribuito l’abbattimento del velivolo del Maggiore (integrate con le testimonianze raccolte da Olindo Bitetti e non più riprese dagli anni Venti) presentano infatti elementi degni di interesse.

c.       L’ipotesi del suicidio. Ferruccio Ranza fu il primo che, comprensibilmente vinto dall’emozione di fronte al ritrovamento del corpo del Comandante, palesò le intenzioni manifestate a suo tempo da quest’ultimo in caso di abbattimento. Ne diede notizia Garinei sul «Secolo» del 26 – 27 giugno 1918 riportando le parole dello stesso Ranza. Dal  «Secolo», l’ipotesi rimbalzò su un importante giornale straniero[3] e anche su alcuni quotidiani italiani di provincia prima ancora che i funerali avessero avuto luogo, tanto da suscitare il dolore e lo sdegno di un lontano parente del Maggiore che si attivò per confutare l’ipotesi ingloriosa[4].

Molto probabilmente, le parole a caldo pronunciate dal componente della Squadriglia e le dimensioni della ferita permisero il delinearsi dell’ipotesi del suicidio. In occasione del Cinquantesimo, il Generale Ranza rilasciò un’intervista – che è stata rimossa recentemente dalla rete – in cui indica il punto esatto della ferita presente sul capo del Maggiore[5].

d.      La ferita. È opportuno soffermarsi sulle dimensioni della ferita più che sull’ipotesi del suicidio. Può essere effettivamente stato l’Osservatore austroungarico a sparare.

Il 25 giugno 1918 il «Corriere Mercantile» scrive: «Gli aviatori Osnaghi [sic] e Ranza della sua squadriglia, con il quale si trovava il collega Raffaele Garinei, hanno trovato i resti di un apparecchio italiano bruciacchiato tra la terza e la seconda strada del Montello. Fra i rottami era il corpo del glorioso cacciatore del cielo, che aveva abbattuto 34 aeroplani nemici. Dall’esame medico è risultato che ha alla tempia una piccola ferita di pistola, che si giudica la prima causa della morte. Così Baracca avrebbe tenuto fede alla sua parola tante volte espressa, di uccidersi cioè piuttosto che cadere nelle mani del nemico».

e.      L’arma. Chi propende verso la tesi del suicidio sostiene che la pistola sia un calibro 6.35[6]. Rimane il dubbio sulla compatibilità dell’arma ipotizzata con quella trovata accanto al corpo del Maggiore. Su questa pistola estranea è possibile formulare un’ipotesi circa una non improbabile sottrazione (seguita da sostituzione) della pistola piccola (Mauser 6.35) che era appannaggio degli Ufficiali (e che quindi poteva essere in possesso di Baracca) da parte di uno dei soldati austroungarici che liberò il corpo dalle cinture[7]. Risulta chiaro che dalla pistola trovata accanto al corpo il colpo non partì. Agli inizi, comunque, si insistette su ferita procurata da proiettile di piccolo calibro.

f.        La relazione medica. È opportuno soffermarsi sulla relazione ufficiale del Medico, contestualizzandola. È importante premettere che il dottor La Corte, medico che compì una semplice ricognizione del corpo e non l’esame autoptico di prassi, intratteneva rapporti cordiali con il Maggiore Baracca[8]. Non è improbabile che, per indicazioni ricevute e per solidarietà personale, il dottor La Corte abbia optato per una rapida ricognizione, senza soffermarsi specificatamente sugli elementi capaci di avvalorare, seppur indirettamente, l’ipotesi del suicidio. Risulta a tal proposito del massimo interesse l’esame ufficioso di un altro medico, precedente la ricognizione ufficiale, che forse ha contribuito alla ricognizione non così esaustiva:  «Il dottor Malaspina [medico legale, avvertito dal fratello, Ufficiale degli Arditi] raggiunse allora quello che definisce l’obitorio di Fossalunga, dove la macchina di Garinei, Osnago e Ranza avrebbe effettuato una sosta prima di arrivare a Quinto. Qui i presenti, esaminando il corpo dell’eroe caduto, si rendono conto che Baracca si è effettivamente suicidato [il colpo è partito sì da vicino ma non dalla pistola del Maggiore]. Nel caricatore della sua pistola [potrebbe non essere la sua] mancherebbe un colpo e sul caschetto di cuoio sarebbe visibile il segno di uno sparo esploso a bruciapelo all’altezza della tempia destra [il caschetto, invece, sembra essere proprio il suo. Solo il caschetto, di cui sono andate disperse le tracce, costituisce l’elemento probante]. È interessante notare però che, qualche ora più tardi, a Quinto viene insediata una commissione che provvede ufficialmente a riconoscere i resti di Baracca. I suoi membri certificano che egli è morto a causa delle ustioni e di un colpo di arma da fuoco di piccolo calibro [del calibro non si fa cenno nel verbale ma la natura della ferita è tale da escludere l’impiego di calibri di entità maggiore] subito nell’orbita dell’occhio destro. Una palla in fronte, sparata da un anonimo fantaccino, scriveranno poi i suoi biografi …»[9].

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] S. Gambarotto, R. Callegari, G. Piccolo, Francesco Baracca. Indagine sulla morte di un eroe italiano, Treviso: Editrice Storica (pubblicazione a cura dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano – Comitato di Trevi­so), 2012.

[2] Il quotidiano è stato donato alla Famiglia Baracca da Maria Battistella. La risposta di Paolina Baracca, madre dell’Eroe, a Battistella, in fotocopia, datata 15 giugno 1923 è conservata in Archivio Ufficio Storico Aeronautica Militare, fondo MOVM, busta 4, fascicolo Baracca.

[3] Prove Baracca was slain – Italians Dispose of Theory of Suicide of Famous Aviators, «New York Times», 2 luglio 1918.

[4] «Gazzetta del Popolo» - cfr. E. Iezzi, Francesco Baracca. Luci e ombre di un grande Italiano, Lugo: Walberti, 2008, p. 190 - «Il Resto del Carlino», 28 giugno 1918 – cfr. ivi, nota 8, p. 192; «Corriere Mercantile», 25 giugno 1918 in S.Gambarotto, R. Callegari, G. Piccolo, Francesco Baracca. Indagine sulla morte di un eroe italiano, cit., p. 201.

[5] Nell’impossibilità di rivedere la preziosa testimonianza, scomparsa di recente dalla rete, se ne riporta una sintesi: «In quel punto [indicato da Ranza] era presente un “foro” che poteva essere quello d’entrata di un proiettile di piccolo calibro rimasto poi all’interno del cranio» (ivi, p. 76).

[6] Cfr. ivi, p. 199.

[7] Cfr. M.L. Suprani Querzoli, La Grande Guerra di Francesco Baracca, Forlì: CartaCanta, 2020, pp. 258 – 260.

[8] Cfr. biglietto augurale del dott. La Corte a Francesco Baracca in Biblioteca ‘Trisi’ Lugo, fondo Baracca, Corrispondenza: faldone I, fascicolo I, documento 18.

[9] S.Gambarotto, R. Callegari, G. Piccolo, Francesco Baracca. Indagine sulla morte di un eroe italiano, cit., p. 199.

Gabriele d'Annunzio. Una nota

 

Maria Luisa Suprani Querzoli

Luci e ombre del Poeta Soldato

 

Durante la Prima Guerra Mondiale le figure degli intellettuali rivestirono un ruolo essenziale nella comunicazione. Il più noto di essi coniò addirittura parte del lessico che rimane tuttora presente nel linguaggio: il termine ‘velivolo’ o la denominazione ‘Battaglia del Solstizio’, ad esempio, si debbono al Vate. Egli non si fece scudo della propria penna ma partecipò in prima persona alla guerra, impegnandosi in imprese anche rischiose (il Volo su Vienna) senza paura di perdervi la vita.

Si può parlare nel suo caso di ‘coraggio’ o forse sarebbe più opportuno riferirsi al concetto di  ‘temerarietà’ in obbedienza ad un gusto estetico capace di richiedere totale identificazione fra ideali professati ed esistenza?

D’Annunzio era immerso profondamente nel clima bellico in cui, forte della sua cultura notevolissima dei classici, poteva sperimentare dal vivo le dinamiche proprie della ferinità che si sprigionano dal conflitto. Ne era consapevole e non ne faceva mistero:

 

Ricordo una disputa alla mensa di Comando a Vi­cenza – Villa Camerini – (Cadorna non vi parteci­pava) quando un ufficiale, pensoso di problemi osò parlare di guerra e di pace a proposito del ro­manzo di Tolstoi. Il D’An­nunzio reagì con violenza – fors’anche per un istintivo timore di confronti coll’ombra del grande «barbaro». Reagì pallido e iroso. Non so se nel suo sdegno, come spesso av­veniva in lui, non si confondesse a una reale ma­nifestazione di sentimenti autentici, una certa vo­luta drammaticità dell’attore – e quale attore! – ben co­sciente della scena su cui recitava. Ma ciò che di lui in quel momento mi parve schietto è la confessione di ciò che gli appariva essenziale nel­le supreme finalità del nostro intervento. Non ba­stavano Trento e Trieste per giustificarlo. Non era ragione sufficiente l’antico con­flitto contro l’Au­stria reazionaria. L’Italia aveva bi­sogno di una prova esaltatrice e rinnovatrice – di un «bagno di sangue».

«L’Italia ha bisogno di un lavacro per purificarsi dalle sozzure, dalle pusillanimità, dalla vigliac­cheria di seco­li» - insisteva - «è necessaria una ecatombe colossale per rinvigorirla, per farne una ‘unità d’acciaio’. Guai ai pacifici! È necessario che gli italiani siano condotti dal­l’esasperazione a nu­trirsi delle cervella del proprio ne­mico» (sic).[1]

 

L’esperienza bellica incide profondamente nella sfera morale di un Paese. La coesione che il giovane Regno d’Italia guadagnò con la Grande Guerra gettò le basi sostanziali di un concetto di ‘Nazione’ presente nelle menti ancora di pochi. Ciò non toglie che la pars destruens richieda la pietas necessaria di fronte al sacrificio della vita della gioventù combattente, anche avversaria. Charle Montague afferma che la furia (e non il valore) è propria di chi non combatte: tale osservazione parrebbe pertinente alla figura del Poeta Soldato, impegnato più in senso estetico che propriamente militare. La conferma a ciò traspare dalle parole dello stesso D’Annunzio:

 

Dovetti confessare al Poeta a che punto i suoi amici soffris­sero nel vederlo ad ogni istante rischiare la propria vita: che non volasse più, per piacere! Che si riposasse fi­nalmente, aveva dato al suo paese tutto quello che i mi­gliori cittadini potevano dare alla patria, la sua anima e il suo spirito, la sua volontà, la sua energia, il suo sangue, la sua vita quasi … «Ma non la propria vita!» esclamò allo­ra. «Come potete voi, che dite di essere mio amico, non de­siderare una morte in combattimento, in cielo? A quale vecchiaia mi volete destinare? A quella di un uomo di let­tere in mezziguanti che scriverà opere, seduto come un travet [figura di ‘colletto bianco’ schiavo del dovere] alla sua scrivania? Oh, no! Ho assaggiato troppo la vita teme­raria, la vita sublime dello spazio e del vento, ho troppo goduto del pericolo, ho a oggi troppo bisogno di tentare, di osare! Amo con passione il volo. Vorreste da me che con­ducessi la vita di un comandante gottoso che firma carte? Mai mi sento più felice che lassù, lontano da tutte le po­vertà e i languori umani … E poi, se lo si può confes­sare, adoro la guerra. […] Non fosse per il sangue altrui che gronda, sarei tentato di aver paura della fine stessa della guer­ra».[2]

 

Il terribile amore per la guerra[3] che pervadeva il Poeta si arresta, umanamente, di fronte al sangue versato.

Le forze potentissime che si sprigionano dalle dinamiche del conflitto costituiscono invece per il Militare non un elemento di fascino a cui soggiacere bensì un fattore psicologico essenziale da gestire efficacemente: solo la consapevolezza del Dovere permette il distacco necessario al raggiungimento di un’affermazione indirizzata al disegno di nuovi sofferti equilibri.

L’estetica del pensiero strategico risponde a criteri altri da quelli dell’edonismo.

Gabriele D’Annunzio rimane un grande Poeta ma non fu un Soldato.



[1] T. Gallarati Scotti, Idee e orientamenti politici e religiosi al Co­mando Supremo: appunti e ricordi, Roma: Edizioni Cinque Lune, 1963, p.7 (in M.L. Suprani Querzoli, La Grande Guerra di Francesco Baracca, Forlì: CartaCanta, 2020, pp. 159 – 160).

[2][2] M. Boulenger, Chez D’Annunzio - a cura di A. Pietrogiaco­mi, prefazione di G. B. Guerri - Rimini: Odoya, 2018, pp. 40 – 41.

[3] Il riferimento è all’omonima opera di James Hillman.

giovedì 19 agosto 2021

Maria Luisa Suprani Querzoli: Cesare Pettorelli Lalatta Una voce inascoltata

 

Maria Luisa Suprani Querzoli

Cesare Pettorelli Lalatta: una voce inascoltata

 

 


Ricordare la figura del Generale Cesare Pettorelli Lalatta[1] permette di considerarne una costante che contrassegnò la sua esperienza nella Grande Guerra e che ebbe inoltre ripercussioni sulle sorti stesse del conflitto.

Proveniente da una famiglia di ferventi patrioti[2], entrò volontario nel Regio Esercito in giovanissima età ed ebbe in seguito modo di perfezionare la conoscenza di diverse lingue presso l’Ambasciata italiana a Berlino. Allo scoppio della guerra, le abilità maturate gli permisero di ricavare elementi di rara efficacia dai prigionieri[3]. Nonostante il ruolo di sostanziale rilievo ricoperto nel Servizio Informazioni  e, soprattutto,  l’apporto potenzialmente determinante sulle sorti della guerra, la portata dei riscontri ricevuti fu pressoché nulla rispetto alla validità del suo operato.

Le anticipazioni dettagliate circa la Strafexpedition non vennero valutate dal Capo di Stato Maggiore in ragione della loro attendibilità: fra i probabili motivi, possono essere ipotizzati i dissidi gravi sorti, per il modus operandi peculiare dell’Ufficio Informazioni della I Armata (presso cui Pettorelli Lalatta era in forze), fra quest’ultimo e  alcuni alti Comandi, tra i quali compariva una delle figure più influenti del Comando Supremo, l’allora Tenente Colonnello Ugo Cavallero[4].

Pettorelli Lalatta fu protagonista di un altro  episodio, noto come Sogno di Carzano, occorso a breve distanza dalla XII Battaglia dell’Isonzo: «[n]ella notte fra il 18 e il 19 settembre 1917, a Carzano, sul fronte del Trentino, fu incredibilmente perduta una grande occasione di irrompere di sorpresa nelle linee austriache, di conquistare d’impeto Trento e di minacciare quindi alle spalle tutto lo schieramento nemico, con conseguenze importantissime e forse decisive per le sorti della guerra»[5].  L’apporto del Maggiore Pettorelli Lalatta fu determinante nella costruzione di un disegno acutissimo e ponderato nei minimi dettagli.  L’efficacia del piano  venne però completamente vanificata da lentezze burocratiche, farragini e dalla scelta di figure inadeguate al compito.

Le sue memorie circa quell’episodio, pubblicate a guerra conclusa, furono censurate dal regime fascista e le copie sequestrate del libro vennero distrutte da un bombardamento alleato durante la Seconda Guerra Mondiale[6].

Nel 1967 egli decise di ridare alle stampe la sua testimonianza:

 

[p]oi, mi sono deciso a farlo, superando ogni residua incertezza, perché mi è sembrato che sull’argomento si sia voluto stendere un falsamente pietoso velo di silenzio e perché la verità – per quanto spiacevole – va sempre detta. […] Cadorna emerge nell’episodio come il personaggio – chiave, in quanto egli, il comandante supremo, accettò con entusiasmo il piano nel suo sviluppo strategico, dimostrando di avere completa fiducia nella sua riuscita, e preparò anche, con la consueta larghezza di vedute, i mezzi necessari per l’attuazione. Però, come spesso accade, per fatalità, non solo non volle invadere nello studio dei particolari i compiti degli esecutori operativi del piano, ma non intervenne neppure, quando si era ancora in tempo, per correggere disposizioni in assoluta discordanza con le finalità e gli obiettivi meno immediati dell’azione. È, quindi, nell’interesse della storia, quella vera, che ristampo oggi il libro distrutto: perché, tolti pochi italiani, e tutti del nostro Servizio Informazioni, gli attori di quell’episodio sono da anni scomparsi e, di conseguenza, tutta la documentazione annessa vuole unicamente conservare il proprio valore storico, non di polemica spicciola.[7]

 

Il Generale Cesare Pettorelli Lalatta riposa nel cimitero di Carzano.

 



[1] Cesare Pettorelli Lalatta Finzi, Milano, 6 giugno 1884 – Roma, 29 marzo 1969.

[2] «A mia madre Agnese Finzi, mantovana e dello stesso ceppo del grande patriota Giuseppe», dedica in C. Pettorelli Lalatta, L’occasione perduta. Carzano 1917,  Milano: Mursia, 1917.

[3] A. Vento, In silenzio gioite e soffrite. Storia dei servizi segreti italiani dal Risorgimento alla Guerra Fredda, Milano: Il Saggiatore, 2010, cfr. p. 129. Pettorelli Lalatta introdusse per primo «l’attività di infiltrare i suoi fiduciari, per lo più boemi o italiani dalla perfetta conoscenza del tedesco in divisa nemica tra i prigionieri austroungarici» (ivi, p. 130). Inoltre, azioni più rischiose vennero  organizzate dietro le linee nemiche (cfr. ibidem).

[4] Ibidem.

[5] C. Pettorelli Lalatta, L’occasione perduta. Carzano 1917, cit., aletta anteriore della sovraccoperta.

[6] Ivi, Prefazione a cura dell’Autore, p. 7.

[7] Ivi, Prefazione a cura dell’Autore, p. 8.

lunedì 9 agosto 2021

Austria-Ungheria Esercito Comune 1914-1918 Corpi d'Armata a fine guerra

 


15 ottobre 1918

 

I KORPS, 1 corpo di armata austro-ungarico, composto dalla 17a e 48a Divisione di Fanteria, 13a Divisione Schutzen e 42a Brigata di artiglieria campale di cavalleria  Honved, sul settore orientale del massiccio del Grappa, inquadrato nell’Armeegruppe Belluno del Gruppo d’esercito Boroević.

II KORPS, 2 corpo di armata austro-ungarico, composto dalla 25a e 31a Divisione di Fanteria, 11a Divisione di cavalleria Honved e 12a Divisione Schutzen a cavallo, sul fronte del Piave, inquadrato nella 6 Armee del gruppo d’esercito Boroević.

III KORPS, 3 corpo di armata austro-ungarico, composto dalla 6a Divisione di Cavalleria, 6a e 52a Divisione di Fanteria, inquadrato nella 11 Armee nel settore occidentale dell’altopiano di Asiago.

IV KORPS, 4 corpo di armata austro-ungarico, composto dalla 64a e 70a Divisione di cavalleria Honved e dall’8a Divisione di Cavalleria, nel settore centrale del Piave, inquadrato nell’Isonzo-Armee del gruppo d’esercito Boroević.

V KORPS, 5 corpo di armata austro-ungarico, composto dalla 22a Divisione Schutzen e dalla 164a Brigata di Fanteria, inquadrato nella 10 Armee sul fronte del Tirolo.

VI KORPS, 6 corpo di armata austro-ungarico, composto dalla 18a e 53a Divisione di Fanteria, e 39a Divisione di cavalleria Honved, inquadrato nell’11 Armee nel settore orientale dell’altopiano di Asiago.

VII KORPS, 7 corpo di armata austro-ungarico, composto dalla 12a, 24a e 33a Divisione di Fanteria, nel basso Piave, inquadrato nell’Isonzo-Armee del Gruppo d’esercito Boroević.

IX KORPS, 9 corpo di armata austro-ungarico, in formazione sul fronte francese, destinato al Gruppo d’esercito Gallwitz tedesco.

XI KORPS, 11 corpo di armata austro-ungarico, composto dalla 9a e 30a Divisione di Fanteria, nel settore dei Balcani, inquadrato nella Deutsche 11 Armee del Gruppo d’esercito Kövess.

XII KORPS, 12 corpo di armata austro-ungarico, composto dalla 15a Divisione di Fanteria e 5a Divisione di cavalleria Honved, sul fronte russo-rumeno, inquadrato nell’Ostarmee.

XIII KORPS, 13 corpo di armata austro-ungarico, composto dalla 27a Divisione di Fanteria, 38a Divisione di cavalleria Honved, 10a Divisione di Cavalleria e 31a Brigata di Fanteria, inquadrato nell’aa Armee nel settore centrale dell’altopiano di Asiago.

XIV KORPS, 14 corpo di armata austro-ungarico, “Edelweiß” composto dalla Kaiserjägerdivision, 19a Divisione di Fanteria e 6a Brigata di Fanteria, inquadrato nella 10 Armee sul fronte del Tirolo.

XV KORPS, 15 corpo di armata austro-ungarico, composto dalla 50a Divisione di Fanteria e 20a Divisione di cavalleria Honved, sul fronte del Piave, inquadrato nell’Armeegruppe Belluno del Gruppo d’esercito Boroević.

XVI KORPS, 16 corpo di armata austro-ungarico, composto dalla 7a e 29a Divisione di Fanteria, e dalla 201a Brigata di Fanteria Landsturm, nel settore delle Grave di Papadopoli, inquadrato nell’Isonzo-Armee del Gruppo d’esercito Boroević.

XVII KORPS, 17 corpo di armata austro-ungarico, composto dall’11a Divisione di Fanteria e 7a Divisione di Cavalleria, sul fronte russo-rumeno, inquadrato nell’Ostarmee.

XVIII KORPS, 18 corpo di armata austro-ungarico, composto dalla 1a e 35a Divisione di Fanteria, 37a Divisione di cavalleria Honved e 106a Divisione di Fanteria Landsturm, nel settore francese di Ornes, inquadrato nel Gruppo d’esercito Gallwitz tedesco.

XX KORPS, 20 corpo di armata austro-ungarico, composto dalla 49a Divisione di Fanteria e il “Settore Riva”, inquadrato nella 10 Armee sul fronte del Tirolo.

XXI KORPS, 21 corpo di armata austro-ungarico, composto dalla 3a Divisione di Cavalleria e 56a Divisione Schutzen, inquadrato nella 10 Armee sul fronte del Tirolo.

XXII KORPS, 22 corpo di armata austro-ungarico, composto dalla 2a e 14a Divisione di Fanteria, alla foce del Piave, inquadrato nell’Isonzo-Armee del Gruppo d’esercito Boroević.

XXIII KORPS, 23 corpo di armata austro-ungarico, composto dalla 58a Divisione di Fanteria e 46a Divisione Schutzen , nel basso Piave, inquadrato nell’Isonzo-Armee del Gruppo d’esercito Boroević.

XXIV KORPS, 24 corpo di armata austro-ungarico, composto dalla 41a e 51a Divisione di cavalleria Honved, sul fronte del Piave, inquadrato nella 6 Armee del Gruppo d’esercito Boroević.

XXV KORPS, 25 corpo di armata austro-ungarico, composto dalla 54a Divisione Schutzen e 155a Divisione di cavalleria Honved, sul fronte russo-rumeno, inquadrato nell’Ostarmee.

XXVI KORPS, 26 corpo di armata austro-ungarico, composto dalla 4a e 28a Divisione di Fanteria, 40a e 42a Divisione di cavalleria Honved, e 21a Brigata d'artiglieria campale, sul settore occidentale del massiccio del Grappa, inquadrato nell’Armeegruppe Belluno del Gruppo d’esercito Boroević.

SIEBENBÜRGEN, Gruppenkommando, composto dalla 1a Divisione di Cavalleria e 216a Brigata di Fanteria Honved, Reggimento di Fanteria126a e 204a, autonomo in Transilvania.

16 Generalkommando, composto dalla 62a Divisione di Fanteria e 143a Brigata di Fanteria, sul fronte russo-rumeno con l’Oberkommando Mackensen.

ALBANIEN, ARMEEGRUPPE, composto dalla 47a e 81a Divisione di Fanteria, 9a Divisione di Cavalleria, 220a Brigata di Fanteria Landsturm, l’Orientkorps e il Küstenabschnitt Albanien, nel settore dei Balcani, inquadrato nel Gruppo d’esercito Kövess.

Kommandierenden generals in BHD, composto dalla 45a Divisione Schutzen , 90a Brigata Schutzen, dal Küstenabschnitt Dalmatien-Nord, Küstenabschnitt Dalmatien-Sud, Küstenrayon Antivari e 5a Brigata di Artiglieria pesante, nel settore costiero della Bosnia-Erzegovina-Dalmazia, inquadrato nel Gruppo d’esercito Kövess.