Sul
finire del 1917, come già visto, tutti i belligeranti avevano il fiato corto;
alcuni erano prostrati, altri temevano il futuro vedendo la loro preoccupante
situazione, altri barcollavano. La vittoria non era certa per nessuno. Per
l’Intesa, l’anno 1917, fu decisamente amaro, ma non tanto tale in quanto gli
Imperi Centrali avevano ottenuto sì dei grandi successi, ma non tali da
consentire i risultati che Berlino e Vienna avevano sperato. Non vi era più il
fronte orientale, la Russia eliminata in preda al caos interno; i Balcani sotto
controllo; le forze impiegate in questo fronti in gran parte furono riversate
sul fronte occidentale e sul fronte italiano ed avevano contribuito a vittorie
eclatanti ma non decisive. La pausa invernale aveva dato all’Intesa quei
due-tre mesi per riordinare non solo le forze, ma anche le idee. Si era creato
finalmente, dopo quattro anni di guerra, un fronte unico tra il mare del Nord e
l’Adriatico, in cui si potevano coordinare gli sforzi ed avere un indirizzo
strategico più definito. Proprio la creazione di questo fronte unitario sarà
uno dei presupposti della vittoria finale. E’ ovvio dire che, ottenuta la
vittoria in un tratto di fronte, questa ebbe effetti su tutto il restante
fronte, cioè a dire che, ottenuta la vittoria sul fronte italiano, debellata l’Austria,
anche la Germania fu costretta a chiedere l’armistizio. Se il fronte non fosse
stato unico, si sarebbe riprodotta la stessa situazione del fonte orientale, in
cui la vittoria conseguita fu fine a se stessa e localizzata non incidente sull’esito
finale della guerra.
Il
1918 nei piani e nelle menti dei decisori dell’Intesa doveva servire per
rafforzarsi, assumendo un atteggiamento difensivo, in attesa che l’intervento
statunitense divenisse più costante e
più incisivo; in pratica questo 1918 doveva essere un anno di transizione, all’insegna
del rafforzamento e della compattezza, per poter poi sferrare nel 1919 l’offensiva
finale che avrebbe ributtato i tedeschi oltre il Reno e liberare il territori
francese dalla occupazione straniera e puntare decisamente alla vittoria finale
nella convinzione che il tempo, con la politica del blocco e della azione
decisa contro la guerra sottomarina, era contro gli Imperi Centrali.
Nonostante
tutto questo la decisione arrivo nel novembre del 1918, sorprendendo molti,
soprattutto a Londra e a Parigi. I fattori che contribuirono a questa soluzione
il non successo della guerra sottomarina, ovvero l’afflusso delle truppe e dei
mezzi dal nuovo mondo fu praticamente costante, l’unicità della azione dell’Intesa,
che finalmente attuava la persistenza sull’obbiettivo in modo costante, ed il
successo tattico del nuovo mezzo, il carro armato, nella 3a battaglia di
Cambrai svoltasi dal 20 novembre al 3 dicembre 1917. Ma nella sostanza questi
avvenimenti sarebbero rimasti nell’ambito delle aspettative di tutti e il 1918
sarebbe passato alla Storia come un anno di transizione. Chi ruppe gli equilibri
di questo stallo e trasformò il 1918 in un anno decisivo e non in un semplice
anno di transizione fu la serie di avvenimenti che si ebbero sul fronte
italiano, fronte che non era più italiano ma occidentale.
Il
Regio Esercito, su questo fronte occidentale, nel settore italiano, combatté
tre battaglie vittoriose, come si è visto, due difensive ed una offensiva; che
siano vittoriose non può essere messo in discussione, in quanto il nemico, non
riuscì ad ottenere il proprio intenso. La battaglia d’arresto
(novembre-dicembre 1917) la battaglia del Solstizio (giugno-luglio 1918) e
quella di Vittorio veneto (ottobre-novembre 1918). Ebbero caratteristiche
identiche e peculiari, conseguendo risultati che si possono definire quasi unici
in una guerra di trincea, ovvero ebbero risultati strategici, oltre che
tattici. La battaglia di arresto, conseguì il risultato strategico di fermare
gli austro-ungarici che erano ormai convinti non solo di arrivare a Venezia e
Milano ma di abbattere definitivamente l’Italia; ma soprattutto riportò la
lotta tra italiani ed austriaci in una guerra di trincea, e non in una guerra
di movimento, come era nel momento della ritirata dall’Isonzo al Piave,
togliendo al Comando austriaco l’iniziativa operativa. In nuce, questa
vittoria, portava le premesse per gli esiti delle due battaglie successive. La
battaglia del Solstizio infranse, in modo decisivo ogni velleità
austro-ungarica, con una sconfitta a tutto tondo che gettò le premesse materiali
e morale per determinare quei squilibri che poi si rilevarono decisivi per gli
esiti della guerra. La battaglia di Vittorio Veneto innescò lo sfacelo dell’Austria-ungheria,
che già dopo la battaglia della Bainsizza era sull’orlo del crollo definitivo;
situazione che è stata determinata, occorre ricordarlo, dalle undici battaglie
dell’Isonzo volute e condotte da Cadorna, L’Austria era ormai sul baratro e fu
costretta a chiamare l’aiuto tedesco che salvò la situazione con l’offensiva a
Caporetto. Ma la vittoria non poteva cancellare lo stato di prostrazione dell’Impero,
a cui si deve aggiunge la sconfitta della battaglia d’arresto e quella del
Solstizio.
La
considerazione finale sulle operazioni del 1918 in Italia sono tutte positive e
quindi, “si dovrebbe, dunque, concludere
che il 1918 abbia meritatamente fatto apprezzare il contributo italiano bellico
ed il successo delle nostre armi. Invece non fu così.”[1]
(massimo coltrinari) centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org
[1]
Montanari M., Politica e Strategie in
cento anni di guerre italiane. Il Periodo Liberale (Volume II) La Grande Guerra
(Tomo II), Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico,
Roma 2000, pag. 798

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