sabato 1 giugno 2019

Considerazioni sulle operazioni del 1918




Sul finire del 1917, come già visto, tutti i belligeranti avevano il fiato corto; alcuni erano prostrati, altri temevano il futuro vedendo la loro preoccupante situazione, altri barcollavano. La vittoria non era certa per nessuno. Per l’Intesa, l’anno 1917, fu decisamente amaro, ma non tanto tale in quanto gli Imperi Centrali avevano ottenuto sì dei grandi successi, ma non tali da consentire i risultati che Berlino e Vienna avevano sperato. Non vi era più il fronte orientale, la Russia eliminata in preda al caos interno; i Balcani sotto controllo; le forze impiegate in questo fronti in gran parte furono riversate sul fronte occidentale e sul fronte italiano ed avevano contribuito a vittorie eclatanti ma non decisive. La pausa invernale aveva dato all’Intesa quei due-tre mesi per riordinare non solo le forze, ma anche le idee. Si era creato finalmente, dopo quattro anni di guerra, un fronte unico tra il mare del Nord e l’Adriatico, in cui si potevano coordinare gli sforzi ed avere un indirizzo strategico più definito. Proprio la creazione di questo fronte unitario sarà uno dei presupposti della vittoria finale. E’ ovvio dire che, ottenuta la vittoria in un tratto di fronte, questa ebbe effetti su tutto il restante fronte, cioè a dire che, ottenuta la vittoria sul fronte italiano, debellata l’Austria, anche la Germania fu costretta a chiedere l’armistizio. Se il fronte non fosse stato unico, si sarebbe riprodotta la stessa situazione del fonte orientale, in cui la vittoria conseguita fu fine a se stessa e localizzata non incidente sull’esito finale della guerra.
Il 1918 nei piani e nelle menti dei decisori dell’Intesa doveva servire per rafforzarsi, assumendo un atteggiamento difensivo, in attesa che l’intervento statunitense  divenisse più costante e più incisivo; in pratica questo 1918 doveva essere un anno di transizione, all’insegna del rafforzamento e della compattezza, per poter poi sferrare nel 1919 l’offensiva finale che avrebbe ributtato i tedeschi oltre il Reno e liberare il territori francese dalla occupazione straniera e puntare decisamente alla vittoria finale nella convinzione che il tempo, con la politica del blocco e della azione decisa contro la guerra sottomarina, era contro gli Imperi Centrali.
Nonostante tutto questo la decisione arrivo nel novembre del 1918, sorprendendo molti, soprattutto a Londra e a Parigi. I fattori che contribuirono a questa soluzione il non successo della guerra sottomarina, ovvero l’afflusso delle truppe e dei mezzi dal nuovo mondo fu praticamente costante, l’unicità della azione dell’Intesa, che finalmente attuava la persistenza sull’obbiettivo in modo costante, ed il successo tattico del nuovo mezzo, il carro armato, nella 3a battaglia di Cambrai svoltasi dal 20 novembre al 3 dicembre 1917. Ma nella sostanza questi avvenimenti sarebbero rimasti nell’ambito delle aspettative di tutti e il 1918 sarebbe passato alla Storia come un anno di transizione. Chi ruppe gli equilibri di questo stallo e trasformò il 1918 in un anno decisivo e non in un semplice anno di transizione fu la serie di avvenimenti che si ebbero sul fronte italiano, fronte che non era più italiano ma occidentale.
Il Regio Esercito, su questo fronte occidentale, nel settore italiano, combatté tre battaglie vittoriose, come si è visto, due difensive ed una offensiva; che siano vittoriose non può essere messo in discussione, in quanto il nemico, non riuscì ad ottenere il proprio intenso. La battaglia d’arresto (novembre-dicembre 1917) la battaglia del Solstizio (giugno-luglio 1918) e quella di Vittorio veneto (ottobre-novembre 1918). Ebbero caratteristiche identiche e peculiari, conseguendo risultati che si possono definire quasi unici in una guerra di trincea, ovvero ebbero risultati strategici, oltre che tattici. La battaglia di arresto, conseguì il risultato strategico di fermare gli austro-ungarici che erano ormai convinti non solo di arrivare a Venezia e Milano ma di abbattere definitivamente l’Italia; ma soprattutto riportò la lotta tra italiani ed austriaci in una guerra di trincea, e non in una guerra di movimento, come era nel momento della ritirata dall’Isonzo al Piave, togliendo al Comando austriaco l’iniziativa operativa. In nuce, questa vittoria, portava le premesse per gli esiti delle due battaglie successive. La battaglia del Solstizio infranse, in modo decisivo ogni velleità austro-ungarica, con una sconfitta a tutto tondo che gettò le premesse materiali e morale per determinare quei squilibri che poi si rilevarono decisivi per gli esiti della guerra. La battaglia di Vittorio Veneto innescò lo sfacelo dell’Austria-ungheria, che già dopo la battaglia della Bainsizza era sull’orlo del crollo definitivo; situazione che è stata determinata, occorre ricordarlo, dalle undici battaglie dell’Isonzo volute e condotte da Cadorna, L’Austria era ormai sul baratro e fu costretta a chiamare l’aiuto tedesco che salvò la situazione con l’offensiva a Caporetto. Ma la vittoria non poteva cancellare lo stato di prostrazione dell’Impero, a cui si deve aggiunge la sconfitta della battaglia d’arresto e quella del Solstizio.
La considerazione finale sulle operazioni del 1918 in Italia sono tutte positive e quindi, “si dovrebbe, dunque, concludere che il 1918 abbia meritatamente fatto apprezzare il contributo italiano bellico ed il successo delle nostre armi. Invece non fu così.”[1]
(massimo coltrinari)  centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org

[1] Montanari M., Politica e Strategie in cento anni di guerre italiane. Il Periodo Liberale (Volume II) La Grande Guerra (Tomo II), Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, Roma 2000, pag. 798
 

                                                                                 






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