lunedì 28 febbraio 2022

La figura del capitano Pietro Zaninelli

 

Maria Luisa Suprani Querzoli

 

Il coraggio e la generosità: la figura del Capitano Pietro Zaninelli

 

 

Se vuoi trovar l’Arcangelo da fante travestito,

ricercalo a Manzano e troverai l’ardito![1]

 

Una  brevissima premessa di ordine personale: durante uno dei miei viaggi sul Montello, passando nei pressi della Casa Bianca, appresi dell’eroico gesto del Capitano Zaninelli[2], gesto lucido e generoso a fronte della prospettiva pressoché certa dell’imminente fine.

Il valore degli Aditi è proverbiale, così come le loro abilità, ma il coraggio del giovane Capitano è da ascriversi ad un’altra categoria, quella della mera generosità d’animo: l’unica sua foto ad oggi pervenuta  (dove lo sguardo è lasciato all’immaginazione dell’osservatore) può essere assunta a ritratto di un’integrità e di una saldezza alle quali l’esaltazione appare estranea.

Il Montello, di per sé, rimanda all’asprissima Battaglia del Solstizio[3], la stessa che assistette alla perdita della figura dell’Asso dei Cieli, Maggiore Francesco Baracca. Gli Arditi detennero il triste primato, in quel frangente, della percentuale più alta di Caduti[4].

Durante tale battaglia d’arresto, la riconquista delle posizioni perdute sul Montello e a Nervesa divenne un obiettivo ineludibile.

Del dispositivo d’attacco predisposto allo scopo faceva parte la 1ª Compagnia ‘Aosta’, comandata dal Capitano Zaninelli. Il pomeriggio del 15 giugno 1918 essa fu impegnata in quattro assalti sanguinosissimi contro la Casa Bianca (ora Casa Zaninelli), caposaldo – osservatorio di grande rilevanza, tanto da renderne necessaria la pressoché impossibile conquista. Fu durante l’ultimo di questi assalti che il Capitano perì. L’osservatorio riuscì a giungere in mano italiana solo durante la notte, grazie al concorso della Compagnia ‘Monte Piana’[5].

La narrazione del momento, densissimo, precedente l’attacco:

 

Poi, tra Maggiore [Freguglia] e Capitano [Zaninelli] un rapido colloquio: gli ultimi ordini e gli ultimi scambi di idee davanti al terreno della battaglia; gli sguardi fissi al di là della siepe di destra; cenni con le mani, entro l’ingombro del fogliame, a indicare possibili vie, a stabilire obbiettivi.

E quando il Maggiore s’era allontanato, aveva ancora detto:

“Attento, tra poco, al segnale di tromba!”.

Tra poco. Gli assalitori eran lì, in attesa, sulla piccola striscia umida della strada sterrata tra le siepi, scherzando da ragazzi in piena libertà.

[…]

Zaninelli, pochi metri a monte del brusio delle Fiamme nere s’era, dal Cappellano del Reparto, in cristiana umiltà, confessato. Ora rientrava sorridente e sereno in mezzo agli assalitori che lo idolatravano. Timore della morte? All’ufficiale del II plotone che gli chiede in quell’attimo un ulteriore schiarimento, egli risponde senza la minima titubanza:

“Non vi preoccupate: ci sarò io!”.

[…]

Eccolo: l’attacco!

La Compagnia esce all’assalto in perfetta formazione d’attacco. […] La Compagnia di Zaninelli s’è buttata fuori dalla strada […] aprendosi a forza il varco attraverso la siepe di destra.

“Avanti a plotoni affiancati”.

E dopo pochi passi:

“Di corsa”.

Il Capitano stesso intona il canto degli Arditi.[6]

 

Medaglia d’Argento al Valor Militare

Cadeva colpito a morte da mitragliatrice nemica

alla testa degli arditi della sua compagnia,

dopo averli per tre volte condotti all’assalto di munita posizione nemica

al canto dell’inno del battaglione.

 

Montello, 15 giugno 1918[7]

 

La leggenda vuole che, di fronte all’ordine fatale, il Giovane abbia risposto con uno dei celeberrimi motti degli Arditi, dove traspare lo sprezzo della vita stessa, di fronte alla salvezza della Patria.

Nel tempo, lo stesso motto è divenuto sinonimo del massimo disimpegno nonché, anche se le accezioni appaiono scarsamente convergenti, di una certa indulgenza verso alcune espressioni del Ventennio (a ben vedere, esse costituiscono un furto del patrimonio di Valore degli Arditi di cui ancora si attende la restituzione).

La memoria, se non adeguatamente alimentata, tende a falsare le prospettive.

Può  così anche capitare di imbattersi, in un mercatino di cimeli militari[8], in una delle numerose Medaglie al Valore dello stesso Zaninelli, ceduta facilmente grazie all’oblio che circonda tuttora, immeritatamente, la sua generosità d’animo.

 

 



[1] Strofa tratta da un celebre Stornello degli Arditi (L. Freguglia, XXVII Battaglione d’Assalto. Gli Eroi del Montello, Bassano del Grappa: Itinera Progetti, 2017, p. 11).

[2] Capitano Pietro Zaninelli (Lodi, 11 ottobre 1895 – Giavera del Montello, 15 giugno 1918).

[3] Periodo: 15 – 23 giugno 1918; luoghi: Passo del Tonale; Altopiano dei Sette Comuni; Monte Grappa; Fiume Piave (Seconda Battaglia del Piave).

[4] «Particolarmente tragico fu il bilancio delle perdite in occasione della Battaglia del Solstizio, per il quale il Comando Supremo comunicò le seguenti percentuali: Arditi 20%, Fanteria 16%; Bombardieri 7%, Artiglieria 6%, Bersaglieri 6%, Mitraglieri 5%, Genio 2%»(L. Freguglia, XXVII Battaglione d’Assalto. Gli Eroi del Montello, cit., p. 14).

[5] Cfr. ivi, p. 16.

[6] Ivi, pp. 74 – 75.

[7] Ivi, p. 23.

[8] La testimonianza, risalente al 2011 e tuttora in rete, è presente in un forum italiani dedicato al mondo militare dei più seguiti.

venerdì 25 febbraio 2022

IL MILITE IGNOTO. IL PENSIERO DEGLI STUDENTI: Federico Mario Galasso

 

Si riportano gli scritti degli Studenti, sotto elencati, dell'Istituto Superiore NICOLò TRON  GIACOMO ZANELLA DI SCHIO (VICENZA)

Referente: Prof. Danilo Zongoli

PENSIERI PERSONALI - MILITE IGNOTO

 

PENSIERI PERSONALI - MILITE IGNOTO

 

Quest'anno ricorre il centenario della sepoltura del Milite Ignoto, un capitolo importante della storia recente italiana.

Era il 1921, la Grande Guerra si era conclusa da appena tre anni lasciandosi dietro molti caduti e molte erano le mogli rimaste senza marito, le famiglie senza padre e le madri senza figli. 

A peggiorare ulteriormente la situazione molti non avevano neppure una salma su cui piangere.

Proprio per questo si decise di recuperare dai campi di battaglia 11 corpi di soldati non identificati e di sceglierne 1 per rappresentarli tutti.

La scelta fu affidata a Maria Bergamas, una madre che aveva perso il proprio figlio in guerra e che rappresentava tutte le donne italiane colpite dai lutti causati dal conflitto.

Ella scelse una delle salme il 28 ottobre 1921 nella Basilica Patriarcale di Aquileia.

Il corpo del Milite Ignoto partí per un viaggio con soste in alcune città.

Lí molti italiani lo salutarono identificandolo come il proprio caro disperso in guerra. Il commovente viaggio si concluse con la sepoltura della salma nel candido marmo dell'Altare della Patria a Roma, da allora sempre vegliato da una guardia permanente in cui si alternano i vari corpi delle Forze Armate italiane.

A cent'anni di distanza, il Milite Ignoto non rappresenta piú ció che significava un tempo, ovvero il sacrificio dei giovani italiani per la Patria, ma un semplice monumento della nostra capitale se non addirittura un'attrazione turistica.

Ma il suo significato é sentito ancora meno dai ragazzini che pensano che la Grande Guerra sia solo un capitolo del loro libro di storia e molti tristemente non sono neppure consapevoli dell'esistenza di questo simbolo che, cent'anni fa, uní l'Italia nel ricordo dei caduti per difendere la Patria.

I valori e la sacralità che rappresenta il Milite Ignoto dovrebbero essere, invece, riscoperti e vissuti dalle nuove generazioni troppo spesso influenzate da modelli effimeri.

-Federico Mario Galasso

 


sabato 19 febbraio 2022

Il movimento dei giovani esploratori e la Grande Guerra

 

Lo scautismo nelle marche durante la Grande Guerra

 

L’incontro di apertura della seconda parte del ciclo di conferenza “Ancona nella Grande guerra”, organizzato dal Club Ufficiali Marchigiani e dedicato allo studio ed alla comprensione del Fronte Interno nelle Marche ( nel secondo anno di guerra) si è svolto alla Polveriera del Cardeto Venerdì 11 marzo 2016 come da programma.

 

Nell’incontro, come preannunciato, si è posto l’accento su un particolare aspetto della difesa del territorio e del fronte interno, ovvero l’attività svolte a difesa del territorio italiano dai vari soggetti mobilitati, organi territoriali Croce Rossa, Associazioni volontarie, tra cui quella scout, le donne inserite nella produzione di guerra ecc. in quegli anni di guerra al servizio della Nazione. Aspetto, questo, trattato, a brevissimi e sintetici cenni, da Massimo Coltrinari.

 

Che cosa era, come è nato  e come si è svolto e sviluppato, in questo contesto, il movimento scout nelle Marche è stato trattato da Paolo Gissi. Il testo della conferenza di Paolo Gissi, in due parti, la prima dedicata alla nascita ed allo sviluppo  e la seconda alle attività del movimento in seno al fronte interno durante la guerra nelle Marche, sarà pubblicato su questo Blog a breve, come base di ulteriore ricerche.

 

La serata è stata aperta dall’intervento del Dott. Sergio Sparapani, che ha illustrato il significato e la portata del ciclo di conferenze che il Comune di Ancona ha voluto dedicare alla Grane Guerra; è seguito, poi, l’intervento del Prof. Sergio Rigotti incentrato sulle attività della Mediateca di Polverigi, nell’ambito delle quali la ricerca oggetto dell’incontro trova e troverà ulteriore sviluppo, anche grazie alla attività della dottoressa Nicoletta Benedussi.

 

La serata si è conclusa con l’invito a tutti i partecipanti, in maggioranza provenienti da un passato come scout, a partecipare alla ricerca in essere; nei prossimi appuntamenti, previsti per giugno ed agosto, saranno illustrati ulteriori acquisizioni e documentazione.

martedì 15 febbraio 2022

IL MILITE IGNOTO. IL PENSIERO DEGLI STUDENTI: Anna Cortese, Vanessa Cornale

 

Si riportano gli scritti degli Studenti, sotto elencati, dell'Istituto Superiore NICOLò TRON  GIACOMO ZANELLA DI SCHIO (VICENZA)

Referente: Prof. Danilo Zongoli

PENSIERI PERSONALI - MILITE IGNOTO

 

PENSIERI PERSONALI - MILITE IGNOTO

 

Trovo che celebrare il milite ignoto sia un gesto davvero importante nei confronti di tutta la comunità italiana e nei confronti di tutti i soldati morti in guerra e delle loro famiglie. E’ fondamentale ricordare e rispettare tutte le persone che hanno dato la vita per salvare noi e il nostro paese, e la scelta di prendere come simbolo un corpo appartenente ad una persona di cui non si sa il nome trovo sia giustissimo, perché facendo ciò si dà lo stesso rispetto e onore ad ogni militare, senza fare preferenze e senza far sembrare una persona più importante di un’altra.

-Anna Cortese

 

Con la ricorrenza del centenario della sepoltura del Milite Ignoto, in classe abbiamo discusso della storia e l’importanza di questo personaggio. Personalmente ritengo che l’aver scelto il Milite Ignoto tra dei soldati non identificabili, sia stato un gesto molto rispettoso verso tutte le famiglie che avevano perso delle persone care in guerra, infatti proprio perché questi erano irriconoscibili, nessuno poteva avere il privilegio di affermare di avere un parente o un amico sepolto nell’Altare della Patria. Questo porta un senso di unità tra queste famiglie che riconoscono il Milite Ignoto come vittima comune di una guerra distruttiva  e straziante.

Credo, inoltre, che aver affidato la decisione a Maria Bergamas, una semplice donna di Trieste, sia stato molto significativo per il popolo, proprio perché rappresentava queste persone umili, che la guerra aveva distrutto sia economicamente, ma soprattutto moralmente.

-Vanessa Cornale

 


mercoledì 9 febbraio 2022

Lanfranco La Sanna. La grande guerra Le operazioni della Regia Marina sul fronte terrestre nell’Alto Adriatico IV Parte

 La 10a battaglia dell’Isonzo 12 maggio- 8 giugno 1917

Alle artiglierie della Marina dislocate nel Basso Isonzo il 24 maggio 1917 si aggiunsero i grossi calibri dei due monitori britannici Earl of Peterborough e il Sir Thomas Picton. Arrivati a Venezia nei mesi precedenti, appena ricevuto l’ordine salparono da Venezia per la missione di bombardamento programmata. Erano fortemente scortatati da siluranti, dragamine, unità ausiliarie e aerei perché, oltre al rischio sempre presente delle mine, era atteso un veemente attacco da parte dell’aviazione navale austro ungarica di base a Trieste. Intanto, erano pronte a muovere da Venezia le due vecchie navi da battaglia Emanuele Filiberto e Ammiraglio di Saint Bon, nel caso uscisse da Pola una forza navale nemica.                                                                                                                                           

Giunti nelle rispettive posizioni di tiro davanti a bocca di Primero, i due monitori britannici aprirono il fuoco contro l’aeroporto di Contovello, rimanendo fuori tiro delle batterie terrestri austro ungariche. Subito dopo apparvero otto aerei nemici che sottoposero a un intenso bombardamento i due monitori che furono raggiunti da numerose schegge. Il Peterborough fu anche colpito da una bomba da 50 chilogrammi riportando lievi danni. Il tiro dei monitori fu ben diretto dagli osservatori della 44a Squadriglia i cui Caudron G.4 non subirono attacchi da parte dell’aviazione nemica, mentre fu abbattuto l’idrovolante L 136 austro ungarico da uno dei caccia Newport di scorta.

Durante l’azione furono sparati 32 colpi che provocarono solo lievi danni al campo di aviazione. La K.u.K. Kriegsmarine, fece uscire in mare i sommergibili U-1 e U-2 che non riuscirono a giungere in tempo per attaccare le unità britanniche. Bloccata l’offensiva terrestre, le due unità rientrarono nell'Arsenale di Venezia.

L’11a battaglia dell’Isonzo: 17 agosto – 29 settembre 1917

Il 17 agosto 1917 il Comando Supremo italiano diede il via alla più grande offensiva lanciata dal Regio Esercito dall’inizio della guerra, alla quale furono destinate 51 divisioni e 5.200 pezzi di artiglieria. A sostegno dell'azione della 3a Armata, il cui obiettivo era aggirare la roccaforte dell'Hermada attraverso la conquista dell'altopiano del Comeno, la Regia Marina schierò, oltre alle batterie fisse terrestri e su natanti del Gruppo "Granafei", anche i due monitori britannici e i due pontoni armati semoventi Alfredo Cappellini e Faà di Bruno. Oltre al supporto di fuoco da parte delle artiglierie, la Regia Marina avrebbe dovuto provvedere allo sbarco tra Duino e Sistiana di tre battaglioni del Regio Esercito, 3.000 uomini circa, preceduti da un reparto di arditi marinai, il Gruppo “Apollonia”, finalizzato ad aggirare le postazioni difensive sull’ala sinistra del fronte austroungarico. Gli obiettivi assegnati ai monitori britannici erano le possenti postazioni difensive nemiche sul rovescio dell'Hermada.

L'Earl of Peterborough e il Sir Thomas Picton, giunsero all’alba del 19 agosto 1917 presso i gavitelli indicanti le rispettive postazioni di tiro di fronte a bocca di Primero, scortati da una squadriglia di torpediniere e da una squadriglia MAS alle quale si aggiunse un’ulteriore squadriglia di torpediniere e una di MAS della base di Grado. Uscirono da Venezia anche due squadriglie di cacciatorpediniere come scorta indiretta in missione di vigilanza. Completavano il dispositivo di sicurezza dodici sommergibili inviati in agguato davanti alla costa istriana, mentre gli idrovolanti delle stazioni di Venezia, Grado e Porto Corsini si alzarono in volo per eseguire missioni di esplorazione a largo raggio nonché di scorta ai velivoli degli osservatori del tiro. Alle ore 15.00 del 19 agosto, iniziò il bombardamento che durò senza sosta per due ore, dopo che erano stati sparati complessivamente 56 colpi da 305 mm su obiettivi situati sul tergo dell’Hermada, sulla quota 279 e sulla dolina di Cresta. Il tiro dei monitori fu regolato da un Caudron G.4 della 44a squadriglia.  Terminata la missione, attorno alle 22.00, i due monitori furono rimorchiati verso il loro ancoraggio nel canale d'Orio, nella laguna di Grado, dove si provvide al rifornimento di carbone e di munizioni.

           Impiego dei monitori britannici nel golfo di Trieste nell’agosto 1917                                                   Le crociere di protezione della Regia Marina

Due giorni dopo, all'alba del 21 agosto, entrambe le unità britanniche, scortate da due squadriglie di MAS e dal piroscafo armato Capitano Sauro, ripresero il bombardamento dell'Hermada su bersagli posti alla distanza di circa 19.000 yard (ca. 18.000 m). Tra le 10.35 e le 13.00 spararono complessivamente 65 colpi di grosso calibro. I monitori inglesi uscirono nuovamente in mare all’alba del 23 agosto per bombardare le linee di comunicazioni nemiche, ma i risultati furono poco soddisfacenti in quanto i cannoni cominciarono a riportare alcune avarie a causa dell'alto numero di colpi sparati a un'elevazione maggiore della massima nominale. La probabilità di colpire gli obiettivi puntiforrni assegnati, come i viadotti ferroviari, era peraltro piuttosto bassa; di cinquantaquattro colpi sparati, infatti, solo tre furono quelli “messi a segno". Contemporaneamente ai monitor della Royal Navy erano entrati in azione i due pontoni armati semoventi Faà di Bruno e Cappellini con i loro cannoni navali da 381/40 mm. Essi avevano diretto il loro tiro contro la zona industriale di Trieste e i nodi stradali e ferroviari di Sistiana e Nabresina, ma non si ottennero risultati significativi. Durante l'11a battaglia dell’Isonzo i cannoni del 33° Raggruppamento Artiglierie d’Assedio, e quelli della Difesa di Porto Rosega, spararono complessivamente 7.849 colpi. A questi si aggiunsero i tiri dei pontoni semoventi armati Faà di Bruno e Cappellini, 65 colpi e dei monitori britannici Earl of Peterborough e Sir Thomas Picton, 175 colpi.

Le corazzate costiere austro ungariche Wien e Budapest giungono a Trieste il 27 agosto 1917

Nel frattempo, per difendere Trieste dal paventato attacco italiano, erano state richiamate da Cattaro due vecchie corazzate costiere Wien e Budapest. Ma le due corazzate non uscirono mai in mare per contrastare le nostre unità navali e per bombardare le nostre linee e anzi divennero subito, a loro volta, bersaglio di accaniti bombardamenti aerei italiani. Infatti, appena individuate dalla nostra ricognizione, le due corazzate furono sottoposte ad un incessante e martellante bombardamento finché il 5 settembre il Wien fu colpito da ben 17 bombe. Una di queste centrò un’imbarcazione laterale issata a sinistra e finì in mare scoppiando sott’acqua creando una falla lunga 7 metri. Il 12 settembre 1917 le due corazzate lasciarono Trieste per raggiungere Pola dove il Wien doveva essere riparato. Lo stesso giorno cessarono i combattimenti sul Monte San Gabriele.

Da parte austro ungarica, per poter contrastare il tiro dei nostri grossi calibri il contrammiraglio Koudelka ottenne un cannone da 35 cm previsto per la classe Ersatz-Monarch, di cui era stata bloccata la costruzione con l’inizio delle ostilità. Il pezzo fu installato nei pressi di Santa Croce (Duino-Aurisina) il 23 agosto 1917 col nome di copertura Georg, ma non fece a tempo a entrare in azione durante l’11a battaglia dell’Isonzo perché sarebbe diventato operativo solo il 22 settembre. Secondo le fonti del Comando del Distretto marittimo di Trieste, il cannone sparò i suoi primi colpi contro Grado il 18 ottobre 1917, una settimana prima dell’offensiva congiunta austro tedesca di Caporetto: il primo colpo cadde a solo otto metri dal nostro comando e l’altro colpì le Poste. I gradesi, pur abituati ai continui bombardamenti aerei, ne rimasero sconvolti.

 

martedì 8 febbraio 2022

IL MILITE IGNOTO. IL PENSIERO DEGLI STUDENTI: Francesco Bortoletti

 

Si riportano gli scritti degli Studenti, sotto elencati, dell'Istituto Superiore NICOLò TRON  GIACOMO ZANELLA DI SCHIO (VICENZA)

Referente: Prof. Danilo Zongoli

PENSIERI PERSONALI - MILITE IGNOTO

 

PENSIERI PERSONALI - MILITE IGNOTO

 

 

Dopo aver letto la raccolta di saggi sul milite ignoto ho avuto la curiosità di scoprirne l’origine e mi sono imbattuto nella storia di Maria Maddalena Blasizza in Bergamas, la donna italiana che fu scelta in rappresentanza di tutte le madri italiane che avevano perso un figlio durante la Prima guerra mondiale, del quale non erano state restituite le spoglie.

Al tempo, sia Gradisca d’Isonzo sia Trieste erano parte integrante dell’Impero austro-ungarico, suo figlio Antonio, nell’ottobre 1914 disertò riparando clandestinamente in Italia e si arruolò volontario come fante nel 2º battaglione della brigata “Re”, con cui fu sul Podgora. Mentre guidava l’attacco del suo plotone, in un combattimento sul monte Cimone di Marcesina, il 16 giugno 1916, durante l’offensiva austroungarica passata alla storia con il nome di Strafexpedition, Antonio fu raggiunto e ucciso da una raffica di mitraglia.

La salma di Antonio Bergamas fu riconosciuta e sepolta assieme agli altri caduti nel cimitero di guerra di Marcesina sull'Altopiano dei Sette Comuni. Tuttavia, a seguito di un violento bombardamento che distrusse il cimitero, Bergamas e i compagni periti con lui risultarono ufficialmente dispersi.

Dopo la guerra, Maria ebbe l’incarico di scegliere il corpo di un soldato tra undici salme di caduti non identificabili, raccolti in diverse aree del fronte. Il 28 ottobre 1921, nella basilica patriarcale di Aquileia, in quello che passerà alla storia col nome di «Rito di Aquileia», consacrandola a madre spirituale del Milite Ignoto, la donna fu posta di fronte alle undici bare allineate: appoggiò lo scialle sulla seconda bara e, dopo essere passata davanti alle prime, non riuscì a proseguire nella ricognizione e si accasciò al suolo davanti alla decima bara urlando il nome del figlio, su quella bara dunque, cadde la scelta.

Per onorare tutti i caduti di guerra, la salma prescelta fu posta all’interno della tomba del Milite Ignoto, al centro dell’Altare della Patria e sotto la dea Roma, presso il complesso del Vittoriano. La cerimonia solenne di traslazione avvenne il giorno 4 novembre 1921.

-Francesco Bortoletti

 


sabato 5 febbraio 2022

Sergio Benedetto Sabetta. Testimonianze e ricordi della Grande Guerra

 

Mattiuzzo – Sabetta

 ( Sergio  Benedetto  Sabetta )

            Con l’iscrizione dei miei due nonni Bernardo Sabetta (1883-1960) e Roberto Mattiuzzo (1883-1953) all’Albo d’Oro della Grande Guerra ho saldato un debito morale nei loro confronti, nato dai racconti che ho vissuto fin da piccolo sulle loro vicissitudini e delle loro famiglie, in particolare materna essendo questa della Marca Trevigiana, precisamente sul Piave tra il Montello e Spresiano.

            Erano memorie che si stavano dissolvendo se non che la circostanza del Centenario della 1915-1918 ha ravvivato i ricordi, permettendo attraverso atti simbolici, quali la sistemazione del medagliere e l’iscrizione all’Albo, di fissare il tempo, fornendo dignità agli umili atti e alle sofferenze vissute silenziosamente Cento anni fa.

            La sorte delle due famiglie fu differente anche se speculari, l’una sulla linea del fronte l’altra a centinaia di Km di distanza nel frusinate, precisamente ad Arce, situazione che venne ad invertirsi pochi decenni dopo nella II Guerra Mondiale con la linea Gustav, nell’inverno/primavera 1943-1944.

            Il nonno materno Roberto Mattiuzzo, classe 1883, partecipò alla Guerra di Libia e alla Grande Guerra, come artigliere, mentre la famiglia cresceva di numero con il succedersi delle licenze, purtroppo è venuta meno la documentazione a seguito dei numerosi traslochi dovuti alla perdita dei beni per le vicissitudini della guerra.

            Decorato con la Medaglia Commemorativa della guerra Italo - Turca e con la Medaglia Interalleata della Vittoria, la memoria ed i racconti che mi furono solo riferiti, in quanto deceduto prima della mia nascita, si concentrarono prevalentemente sul periodo che va dall’ottobre 1917 agli anni successivi al 1918.

            La rottura a Caporetto e il conseguente ripiegamento fino al Piave coinvolsero pesantemente la famiglia di mia madre, si raccontava che alla notizia dell’arrivo delle avanguardie austro-ungariche la nonna Laura, rimasta sola con i figli nella casa colonica nei campi sulle rive del Piave, incinta di mia madre, fu portata in salvamento da suo padre che, accorso con un calesse, caricò tutta la famiglia, figlia e nipoti, dirigendosi a Paese, provincia di Treviso, dove il 21 marzo 1918 nacque mia madre Rita Clementina.

            La casa venne saccheggiata, il bestiame perduto, gli alberi e le viti sradicati dai bombardamenti ed i terreni, cosparsi di scorie varie e bombe inesplose, divennero o pieni di fosse o duri per zoccoli e scarponi che vi erano passati, tanto che finita la guerra erano da bonificare con un lavoro di anni, ma vista l’urgenza di sfamare la famiglia, nel frattempo ulteriormente cresciuta, e la mancanza di risorse economiche vennero liquidate a poco prezzo.

            Come descritto nelle testimonianze raccolte nel volume “Piave e dintorni, 1917 – 1918. Fanti, Jager, Alpini, Honved e altri poveracci” di Sergio Tazzer, ed. Kallermann 2011, i profughi furono 300.000 a cui si aggiunsero quelli che furono obbligati a sgombrare i centri abitati sulla linea del fronte, per una profondità di circa 15 Km.

            Il problema dei profughi fu affrontato dalle autorità come una questione di pubblica sicurezza, a cui il governo Orlando rispose con l’istituzione di un alto commissariato che ben presto divenne una elefantiaca struttura burocratica.

            Molte autorità civili fuggirono, come le Autorità Comunali di Treviso dove fu nominato Commissario il Capitano Battistel, già Segretario Comunale di Susegana, coadiuvato dal sig. Tito Gazzoni, il loro coraggio non fu adeguatamente riconosciuto dopo la guerra, per non compromettere quelle Autorità che si erano frettolosamente allontanate.

            Intervennero le organizzazioni cattoliche, quelle laico - socialiste, le società operaie di mutuo soccorso, i patronati e i comitati fondati da filantropi, mentre le autorità religiose, coordinate dal Vescovo di Treviso Mons. Andrea Giacinto Longhin (1863 – 1936), frate cappuccino, sostituirono le autorità civili statali nel soccorso ai profughi e nell’organizzare la vita civile quotidiana.

            Tale funzione divenne ancora più importante nei territori occupati dove, tra saccheggi e violenze di ogni genere sulla popolazione più povera restata a presidiare la terra, i parroci divennero l’unico elemento di riferimento e interfaccia con gli occupanti per più di un anno.

            Il nonno si trovò senza lavoro e dovette andare a lavorare a giornata, con il suo mantello militare, nello scavare i canali di bonifica, tentando pure la via delle miniere con il figlio maggiore Narciso, in Belgio, da cui fu richiamato dalla moglie dopo un anno visto le pericolose condizioni di lavoro ed i turni massacranti.

            Il problema fu aggravato dal fatto che non volle iscriversi al P.N.F. e non avendo la tessera non aveva un lavoro stabile quale ex – combattente, i figli dovettero andare a lavorare nelle filande o come apprendisti al compimento del 13° anno, prima, frequentati i tre anni della scuola dell’obbligo, aiutavano i parenti nei campi.

            La nonna in queste circostanze si rifiutò sempre per dignità di farsi iscrivere nelle liste comunali dei poveri per avere un sussidio in latte e pane, mentre i parenti mandavano talvolta generi alimentari.

            Il nonno si raccomandava sempre di non toccare la “roba” degli altri, guai ai figlioli se avesse dovuto vergognarsi per delle lamentele, quello che importava era che tutto fosse speso per farli crescere retti ed in salute, poi si sarebbero arrangiati.

            Nella battaglia del Solstizio d’Estate l’offensiva austriaca si sviluppa secondo il seguente piano: sul Montello, il XXIV Corpo d’Armata al comando del feldmaresciallo Goignger, forzato il Piave punta verso sud-est per raggiungere la linea Cusignano – Arcade - Spresiano e cogliere sul fianco le truppe italiane, fra Nervesa e le Grave di Papadopoli il XVI Corpo d’armata al comando dell’Arciduca Giuseppe forza a sua volta il Piave con obiettivo la ferrovia Treviso - Montebelluno, mentre fra le Grave e Ponte di Piave il IV Corpo d’armata al comando del colonnello generale Von Wursus, passato il fiume, punta su Treviso.

            Il 15 mattina alle ore tre inizia il fuoco delle batterie austriache con tiri di distruzione per una durata di quattro ore, a cui rispondono i tiri di contro-batteria e contro-preparazione dell’artiglieria italiana, alla quale si aggiungono le batterie francesi e inglesi.

            Sebbene in piazzole e trincee profonde gli artiglieri di entrambi i fronti si sentono comunque esposti, alla relativa calma e autocontrollo, sebbene terrorizzati, dei veterani, corrisponde una paura incontrollabile delle reclute diciottenni che devono essere bloccate fisicamente.

            Nonostante le ripetute informazioni ricevute, anche dai disertori, gli italiani vengono inizialmente sorpresi e sul Montello le prime linee travolte dagli austriaci, gli Schutzen della 13° Divisione (Gen. Kindl ) occupano parte delle colline e Nervesa mentre dietro a loro si cercano di traghettare tre battaglioni d’assalto e ventiquattro di fanti.

            Alla fine della prima giornata il Fedmaresciallo generale Goinginger è fiducioso e pensa di poter avanzare oltre Nervesa e Bavaria, tuttavia già tra il 16 e 17 giugno la situazione volge al peggio per l’offensiva austriaca causa la difficoltà nel traghettare i rinforzi per i tiri dell’artiglieria e la velocità nella reazione dei reparti di fanteria italiani, tanto da fare sospendere il trasferimento in avanti del Comando Militare austriaco.

            Tuttavia il primo giorno dell’offensiva con lo sfondamento delle prime linee dell’8° Armata italiana le piazzole delle batterie sono investite dalle avanguardia nemiche costringendo gli artiglieri a battersi quali fanti.

            Da parte austriaca nel settore del Montello sono concentrati ben 400 pezzi di artiglieria su 4 KM., mentre 7.500 bocche da fuoco operano su tutto il fronte italiano dal Grappa al mare.

            Il forzamento del Piave ha per gli austriaci un significato tattico solo se gli attaccanti riescono a raggiungere le artiglierie italiane, impedendo a questi di concentrare il fuoco sui passaggi costruiti lungo il fiume, in questo vi è la necessità di raggiungere la linea Cusignano – Arcade - Spresiano e a questi fatti si riallacciano i ricordi del nonno materno Roberto Mattiuzzo.

            Nelle serate invernali ripeteva spesso, con profondo rammarico,  nei racconti di trincea, quando nella battaglia del Solstizio di Estate un soldato, da lui definito croato, saltò dentro alla baionetta nella postazione di artiglieria. Lui imbracciato il fucile fece fuoco e lo uccise, guardandolo negli occhi, ma ripeteva che fu costretto, non voleva, ma aveva pensato alla sua famiglia, poi dopo un attimo di silenzio, ripeteva ed aggiungeva che forse anche “lui” aveva una famiglia e dei figli che aveva reso orfani.

            Si rattristava di non potere mandare dei soldi riparatori alla vedova spiegandole che era la guerra, anche lui era padre e marito, in quel momento non si era potuto fare altro, ma chissà, concludeva, quanti altri morti aveva fatto con il cannone ma non li aveva visti in viso.

            Nella tragedia della guerra vi erano dei sorrisi dati dalla nascita di mia madre, si raccontava che i soldati nel periodo aprile/ottobre 1918 ogni volta che vi erano dei bombardamenti correvano a prendere la neonata e la portavano con sé nel rifugio, in quanto, dicevano, dove vi è un angelo non può cadere una bomba.

            Finita la guerra la fame era tanta e mia madre all’età di 1 o 2 anni, per mano della sorella maggiore, Serafina, di pochi anni più grande, andava all’ora del rancio con due gavettini alla cucina da campo per farsi dare della minestra o del latte, che i cucinieri davano volentieri pensando ai loro figli a casa, ma dal traballare sul campo delle due bambine metà veniva rovesciato per strada.

            Cresciuta , nelle elementari ogni mese veniva posta dalla maestra con tutta la classe sulle rive del Piave per lanciare dei fiori sulle sue acque.

            Ben diversa la storia per i Sabetta, in quanto lontani dal fronte, vi era tuttavia paura per il congiunto e la mancanza delle sue braccia nella coltivazione della terra si sentiva, con i figli piccoli la moglie, Loreta doveva assumere la gestione della casa e della terra.

            Richiamato alle armi il 13 luglio 1986, Bernardo Sabetta vi è la documentazione completa, con il numero di matricola 74/83 il 26 luglio 1916 è in forza dell’11 Regg. Bersaglieri in territorio dichiarato in stato di guerra, fino al 28 agosto 1917, quando viene inviato in licenza di convalescenza.

            Rientrato il Corpo il 16 agosto 1918, il 25 agosto subisce rassegna presso l’ospedale militare di Ancona ed inviato in congedo per invalidità permanente di guerra il 15 ottobre 1918.

            Durante il periodo luglio 1916 – agosto 1917 il reparto fu impegnato prima  nella conquista degli abitanti di Poljanica, Pod Turo e Pod-k-lopice, per poi impegnarsi in settembre nella conca di Plezzo e sul Passo della Moistrocca.

            Spostato sulla sinistra dell’Isonzo, nel gennaio 1917, nel febbraio successivo venne posto sul monte Debeli, subendo forti perdite, fino a che a fine maggio venne impegnato sulla linea Jamiano – monte Flondar nella conquista di Jamiano fino al monte Ermada, respingendo i duri contrattacchi nemici che avvennero nei mesi successivi, fino alla sua messa a riposo e fine agosto, quando il nonno fu inviato in licenza di convalescenza.

            Nel dopoguerra quale invalido di guerra fu collocato come lavoro nel polverificio militare di Fontana Liri, che raggiungeva ogni giorno in bicicletta, e rimase legato ad Ancona, andando ogni anno in pellegrinaggio alla Madonna di Loreto, probabilmente per sciogliere un voto che la moglie di nome Loreta, aveva formulato.

            Quello che la famiglia Mattiuzzo aveva subito nella I Guerra Mondiale con la linea del Piave, la famiglia Sabetta lo subì nella II Guerra Mondiale con la linea Gustav, il saccheggio dei beni della casa, la sua parziale distruzione, il terreno sconvolto dalla battaglia, con la perdita del figlio primogenito Benedetto Sabetta a Cefalonia quale disperso e l’eterna attesa di un suo ritorno.

 

Perdite delle singole armate austriache dal 14 al 25 giugno 1918

 

11^ Armata ( senza XV Corpo d’Armata) : 5692  Morti – 32.901  Feriti – 11.117 Ammalati – 10.370 Dispersi = 63.080 Totale

6^ Armata ( con XV Corpo d’Armata): 1.751 Morti – 9.951 Feriti – 3.691 Ammalati – 5.477 Dispersi = 20.870 Totale

Armata dell’ Isonzo: 4.200 Morti – 38.000 Feriti – 6.700 Ammalati – 9.700 Dispersi = 58.600 Totale

Prigionieri austriaci catturati dagli italiani : 24.475

Prigionieri italiani: 50.000

Fonte:  Relazione ufficiale austriaca ( Osterreich – Ungars,   Krieg ) – Vienna  tratta da P. Fiele, 1918 – Il Piave, Mursia, 1987.

 

NOTE

·        Sergio Tazzer, Piave e dintorni 1917-1918, Kellermann, 2011;

·        Peter Fiala, 1918 Il Piave, Mursia 1987.