Mattiuzzo – Sabetta
( Sergio Benedetto
Sabetta )
Con l’iscrizione dei miei due nonni Bernardo Sabetta (1883-1960) e
Roberto Mattiuzzo (1883-1953) all’Albo d’Oro della Grande Guerra ho saldato un
debito morale nei loro confronti, nato dai racconti che ho vissuto fin da
piccolo sulle loro vicissitudini e delle loro famiglie, in particolare materna
essendo questa della Marca Trevigiana, precisamente sul Piave tra il Montello e
Spresiano.
Erano
memorie che si stavano dissolvendo se non che la circostanza del Centenario
della 1915-1918 ha ravvivato i ricordi, permettendo attraverso atti simbolici,
quali la sistemazione del medagliere e l’iscrizione all’Albo, di fissare il
tempo, fornendo dignità agli umili atti e alle sofferenze vissute
silenziosamente Cento anni fa.
La sorte
delle due famiglie fu differente anche se speculari, l’una sulla linea del
fronte l’altra a centinaia di Km di distanza nel frusinate, precisamente ad
Arce, situazione che venne ad invertirsi pochi decenni dopo nella II Guerra
Mondiale con la linea Gustav, nell’inverno/primavera 1943-1944.
Il nonno
materno Roberto Mattiuzzo, classe 1883, partecipò alla Guerra di Libia e alla
Grande Guerra, come artigliere, mentre la famiglia cresceva di numero con il
succedersi delle licenze, purtroppo è venuta meno la documentazione a seguito
dei numerosi traslochi dovuti alla perdita dei beni per le vicissitudini della
guerra.
Decorato con
la Medaglia Commemorativa della guerra Italo - Turca e con la Medaglia Interalleata
della Vittoria, la memoria ed i racconti che mi furono solo riferiti, in quanto
deceduto prima della mia nascita, si concentrarono prevalentemente sul periodo
che va dall’ottobre 1917 agli anni successivi al 1918.
La rottura a
Caporetto e il conseguente ripiegamento fino al Piave coinvolsero pesantemente
la famiglia di mia madre, si raccontava che alla notizia dell’arrivo delle
avanguardie austro-ungariche la nonna Laura, rimasta sola con i figli nella
casa colonica nei campi sulle rive del Piave, incinta di mia madre, fu portata
in salvamento da suo padre che, accorso con un calesse, caricò tutta la
famiglia, figlia e nipoti, dirigendosi a Paese, provincia di Treviso, dove il
21 marzo 1918 nacque mia madre Rita Clementina.
La casa
venne saccheggiata, il bestiame perduto, gli alberi e le viti sradicati dai
bombardamenti ed i terreni, cosparsi di scorie varie e bombe inesplose,
divennero o pieni di fosse o duri per zoccoli e scarponi che vi erano passati,
tanto che finita la guerra erano da bonificare con un lavoro di anni, ma vista
l’urgenza di sfamare la famiglia, nel frattempo ulteriormente cresciuta, e la
mancanza di risorse economiche vennero liquidate a poco prezzo.
Come
descritto nelle testimonianze raccolte nel volume “Piave e dintorni, 1917 –
1918. Fanti, Jager, Alpini, Honved e altri poveracci” di Sergio Tazzer, ed.
Kallermann 2011, i profughi furono 300.000 a cui si aggiunsero quelli che
furono obbligati a sgombrare i centri abitati sulla linea del fronte, per una
profondità di circa 15 Km.
Il problema
dei profughi fu affrontato dalle autorità come una questione di pubblica
sicurezza, a cui il governo Orlando rispose con l’istituzione di un alto
commissariato che ben presto divenne una elefantiaca struttura burocratica.
Molte autorità
civili fuggirono, come le Autorità Comunali di Treviso dove fu nominato
Commissario il Capitano Battistel, già Segretario Comunale di Susegana,
coadiuvato dal sig. Tito Gazzoni, il loro coraggio non fu adeguatamente
riconosciuto dopo la guerra, per non compromettere quelle Autorità che si erano
frettolosamente allontanate.
Intervennero
le organizzazioni cattoliche, quelle laico - socialiste, le società operaie di
mutuo soccorso, i patronati e i comitati fondati da filantropi, mentre le
autorità religiose, coordinate dal Vescovo di Treviso Mons. Andrea Giacinto
Longhin (1863 – 1936), frate cappuccino, sostituirono le autorità civili
statali nel soccorso ai profughi e nell’organizzare la vita civile quotidiana.
Tale
funzione divenne ancora più importante nei territori occupati dove, tra
saccheggi e violenze di ogni genere sulla popolazione più povera restata a
presidiare la terra, i parroci divennero l’unico elemento di riferimento e
interfaccia con gli occupanti per più di un anno.
Il nonno si
trovò senza lavoro e dovette andare a lavorare a giornata, con il suo mantello
militare, nello scavare i canali di bonifica, tentando pure la via delle
miniere con il figlio maggiore Narciso, in Belgio, da cui fu richiamato dalla
moglie dopo un anno visto le pericolose condizioni di lavoro ed i turni
massacranti.
Il problema
fu aggravato dal fatto che non volle iscriversi al P.N.F. e non avendo la tessera
non aveva un lavoro stabile quale ex – combattente, i figli dovettero andare a
lavorare nelle filande o come apprendisti al compimento del 13° anno, prima,
frequentati i tre anni della scuola dell’obbligo, aiutavano i parenti nei
campi.
La nonna in
queste circostanze si rifiutò sempre per dignità di farsi iscrivere nelle liste
comunali dei poveri per avere un sussidio in latte e pane, mentre i parenti
mandavano talvolta generi alimentari.
Il nonno si
raccomandava sempre di non toccare la “roba” degli altri, guai ai figlioli se
avesse dovuto vergognarsi per delle lamentele, quello che importava era che
tutto fosse speso per farli crescere retti ed in salute, poi si sarebbero
arrangiati.
Nella
battaglia del Solstizio d’Estate l’offensiva austriaca si sviluppa secondo il
seguente piano: sul Montello, il XXIV Corpo d’Armata al comando del feldmaresciallo
Goignger, forzato il Piave punta verso sud-est per raggiungere la linea
Cusignano – Arcade - Spresiano e cogliere sul fianco le truppe italiane, fra
Nervesa e le Grave di Papadopoli il XVI Corpo d’armata al comando dell’Arciduca
Giuseppe forza a sua volta il Piave con obiettivo la ferrovia Treviso - Montebelluno,
mentre fra le Grave e Ponte di Piave il IV Corpo d’armata al comando del
colonnello generale Von Wursus, passato il fiume, punta su Treviso.
Il 15
mattina alle ore tre inizia il fuoco delle batterie austriache con tiri di
distruzione per una durata di quattro ore, a cui rispondono i tiri di
contro-batteria e contro-preparazione dell’artiglieria italiana, alla quale si
aggiungono le batterie francesi e inglesi.
Sebbene in
piazzole e trincee profonde gli artiglieri di entrambi i fronti si sentono
comunque esposti, alla relativa calma e autocontrollo, sebbene terrorizzati,
dei veterani, corrisponde una paura incontrollabile delle reclute diciottenni
che devono essere bloccate fisicamente.
Nonostante
le ripetute informazioni ricevute, anche dai disertori, gli italiani vengono
inizialmente sorpresi e sul Montello le prime linee travolte dagli austriaci,
gli Schutzen della 13° Divisione (Gen. Kindl ) occupano parte delle colline e
Nervesa mentre dietro a loro si cercano di traghettare tre battaglioni
d’assalto e ventiquattro di fanti.
Alla fine
della prima giornata il Fedmaresciallo generale Goinginger è fiducioso e pensa
di poter avanzare oltre Nervesa e Bavaria, tuttavia già tra il 16 e 17 giugno
la situazione volge al peggio per l’offensiva austriaca causa la difficoltà nel
traghettare i rinforzi per i tiri dell’artiglieria e la velocità nella reazione
dei reparti di fanteria italiani, tanto da fare sospendere il trasferimento in
avanti del Comando Militare austriaco.
Tuttavia il
primo giorno dell’offensiva con lo sfondamento delle prime linee dell’8° Armata
italiana le piazzole delle batterie sono investite dalle avanguardia nemiche
costringendo gli artiglieri a battersi quali fanti.
Da parte
austriaca nel settore del Montello sono concentrati ben 400 pezzi di
artiglieria su 4 KM., mentre 7.500 bocche da fuoco operano su tutto il fronte
italiano dal Grappa al mare.
Il
forzamento del Piave ha per gli austriaci un significato tattico solo se gli
attaccanti riescono a raggiungere le artiglierie italiane, impedendo a questi
di concentrare il fuoco sui passaggi costruiti lungo il fiume, in questo vi è
la necessità di raggiungere la linea Cusignano – Arcade - Spresiano e a questi
fatti si riallacciano i ricordi del nonno materno Roberto Mattiuzzo.
Nelle serate
invernali ripeteva spesso, con profondo rammarico, nei racconti di trincea, quando nella
battaglia del Solstizio di Estate un soldato, da lui definito croato, saltò
dentro alla baionetta nella postazione di artiglieria. Lui imbracciato il
fucile fece fuoco e lo uccise, guardandolo negli occhi, ma ripeteva che fu
costretto, non voleva, ma aveva pensato alla sua famiglia, poi dopo un attimo
di silenzio, ripeteva ed aggiungeva che forse anche “lui” aveva una famiglia e
dei figli che aveva reso orfani.
Si
rattristava di non potere mandare dei soldi riparatori alla vedova spiegandole
che era la guerra, anche lui era padre e marito, in quel momento non si era
potuto fare altro, ma chissà, concludeva, quanti altri morti aveva fatto con il
cannone ma non li aveva visti in viso.
Nella
tragedia della guerra vi erano dei sorrisi dati dalla nascita di mia madre, si
raccontava che i soldati nel periodo aprile/ottobre 1918 ogni volta che vi
erano dei bombardamenti correvano a prendere la neonata e la portavano con sé
nel rifugio, in quanto, dicevano, dove vi è un angelo non può cadere una bomba.
Finita la
guerra la fame era tanta e mia madre all’età di 1 o 2 anni, per mano della
sorella maggiore, Serafina, di pochi anni più grande, andava all’ora del rancio
con due gavettini alla cucina da campo per farsi dare della minestra o del
latte, che i cucinieri davano volentieri pensando ai loro figli a casa, ma dal
traballare sul campo delle due bambine metà veniva rovesciato per strada.
Cresciuta ,
nelle elementari ogni mese veniva posta dalla maestra con tutta la classe sulle
rive del Piave per lanciare dei fiori sulle sue acque.
Ben diversa
la storia per i Sabetta, in quanto lontani dal fronte, vi era tuttavia paura
per il congiunto e la mancanza delle sue braccia nella coltivazione della terra
si sentiva, con i figli piccoli la moglie, Loreta doveva assumere la gestione
della casa e della terra.
Richiamato
alle armi il 13 luglio 1986, Bernardo Sabetta vi è la documentazione completa,
con il numero di matricola 74/83 il 26 luglio 1916 è in forza dell’11 Regg.
Bersaglieri in territorio dichiarato in stato di guerra, fino al 28 agosto
1917, quando viene inviato in licenza di convalescenza.
Rientrato il
Corpo il 16 agosto 1918, il 25 agosto subisce rassegna presso l’ospedale
militare di Ancona ed inviato in congedo per invalidità permanente di guerra il
15 ottobre 1918.
Durante il
periodo luglio 1916 – agosto 1917 il reparto fu impegnato prima nella conquista degli abitanti di Poljanica,
Pod Turo e Pod-k-lopice, per poi impegnarsi in settembre nella conca di Plezzo
e sul Passo della Moistrocca.
Spostato
sulla sinistra dell’Isonzo, nel gennaio 1917, nel febbraio successivo venne
posto sul monte Debeli, subendo forti perdite, fino a che a fine maggio venne
impegnato sulla linea Jamiano – monte Flondar nella conquista di Jamiano fino
al monte Ermada, respingendo i duri contrattacchi nemici che avvennero nei mesi
successivi, fino alla sua messa a riposo e fine agosto, quando il nonno fu inviato
in licenza di convalescenza.
Nel
dopoguerra quale invalido di guerra fu collocato come lavoro nel polverificio
militare di Fontana Liri, che raggiungeva ogni giorno in bicicletta, e rimase
legato ad Ancona, andando ogni anno in pellegrinaggio alla Madonna di Loreto,
probabilmente per sciogliere un voto che la moglie di nome Loreta, aveva
formulato.
Quello che
la famiglia Mattiuzzo aveva subito nella I Guerra Mondiale con la linea del
Piave, la famiglia Sabetta lo subì nella II Guerra Mondiale con la linea
Gustav, il saccheggio dei beni della casa, la sua parziale distruzione, il
terreno sconvolto dalla battaglia, con la perdita del figlio primogenito
Benedetto Sabetta a Cefalonia quale disperso e l’eterna attesa di un suo
ritorno.
Perdite delle singole
armate austriache dal 14 al 25 giugno 1918
11^ Armata ( senza XV
Corpo d’Armata) : 5692 Morti –
32.901 Feriti – 11.117 Ammalati – 10.370
Dispersi = 63.080 Totale
6^ Armata ( con XV
Corpo d’Armata): 1.751 Morti – 9.951 Feriti – 3.691 Ammalati – 5.477 Dispersi =
20.870 Totale
Armata dell’ Isonzo:
4.200 Morti – 38.000 Feriti – 6.700 Ammalati – 9.700 Dispersi = 58.600 Totale
Prigionieri austriaci
catturati dagli italiani : 24.475
Prigionieri italiani:
50.000
Fonte: Relazione ufficiale austriaca ( Osterreich – Ungars, Krieg
) – Vienna tratta da P. Fiele, 1918 – Il
Piave, Mursia, 1987.
NOTE
·
Sergio
Tazzer, Piave e dintorni 1917-1918, Kellermann, 2011;
·
Peter
Fiala, 1918 Il Piave, Mursia 1987.