Il
primo giorno di guerra
Molto
prima della mezzanotte fra il 23 e il 24 maggio, orario ufficiale dell’entrata
in guerra dell’Italia, la K.u.K. Kriegsmarine uscì in forze dalle sue
basi sulla costa orientale dell’Adriatico con l’obiettivo di inferire un grosso
colpo contro le coste italiane dell’Adriatico.
Il
piano era stato studiato nei minimi particolari dall’ammiraglio Anton Haus,
comandante in capo della flotta austro ungarica, addirittura già dall’inizio
della guerra. L’obiettivo era di danneggiare le vie italiane di comunicazione
marittima lungo l’Adriatico e di determinare un collasso morale dell’opinione
pubblica di una «nazione
facilmente impressionabile».
Per ottenere un successo l’operazione doveva essere eseguita di sorpresa
immediatamente all’inizio delle ostilità e infatti, appena ricevuta la notizia
della rottura delle relazioni diplomatiche, alle ore 16 del 23 maggio, furono
impartiti immediatamente gli ordini di prepararsi a salpare. La flotta, che comprendeva 12 navi da
battaglia e la loro scorta, uscita da Pola era divisa in 6 gruppi, ognuno con
un proprio obiettivo, Ancona, Senigallia, Porto Corsini, Potenza Picena,
Rimini, Fano, Pesaro. Il bombardamento navale arrecò lievi danni a strutture
militari e civili e causò la morte di 68 persone, la maggior parte civili.
Neppure
la Regia Marina era rimasta inerte la prima notte di guerra, anche se le sue
operazioni risultarono molto più limitate e soprattutto molto meno ambiziose di
quelle della sua rivale. Alle ore 02.00 del 24 maggio, quando la flotta austro
ungarica era in mare da ben 7 ore, partirono da Venezia i cacciatorpediniere Zeffiro,
Bersagliere e Corazziere. Lo Zeffiro aveva l’obiettivo di
forzare e bombardare Porto Buso, prima isola austro ungarica della laguna di
Grado, e di fare dei prigionieri. Gli altri due cacciatorpediniere dovevano
affondare le unità navali presenti a Grado e tagliare il cavo telegrafico tra
Grado e Cittanova. Alle ore 03.30 uscirono dalla base di Venezia anche i
cacciatorpediniere Carabiniere, Garibaldino, Lanciere, Alpino e
Fuciliere in esplorazione strategica con rotte a raggiera verso l’Istria.
L’unica operazione che ebbe successo fu quella dello Zeffiro che, al
comando del C.F. Arturo Ciano, dopo un’ora di navigazione silenziosa verso
oriente lungo la costa, arrivò all’imboccatura del canale di accesso a Porto
Buso, lo percorse e, arrivato al traverso del pontile e della caserma austriaca
della Finanza, a una distanza di 600 metri, lanciò un siluro contro il pontile
e aprì il fuoco con i cannoni da 76/40 contro la caserma e la torre di
osservazione. Il distaccamento austro ungherese fu fatto prigioniero.
Il
29 maggio 1915, come era stato deciso dal piano di operazioni, i CC.TT. Lanciere, Artigliere e Garibaldino,
protetti a largo dai CC.TT. Alpino, Pontiere, e Corazziere,
bombardarono l’impianto chimico Adria-Werke di Monfalcone, dove si credeva si
producessero gas asfissianti.
Inaugurando
una fattiva collaborazione con il Regio Esercito, impegnato
nell’attraversamento del fiume Isonzo, tappa fondamentale per dare inizio a
quella che sarebbe stata la prima battaglia dell’Isonzo (23 giugno-7 luglio
1915), nella notte tra il 4 e il 5 giugno uscì in mare da Venezia una forza di
cinque cacciatorpediniere che bombardarono le linee nemiche presso la foce del
fiume. Queste unità erano protette al largo da altri cacciatorpediniere,
torpediniere e sommergibili, mentre la nave da battaglia Sardegna e
l’incrociatore corazzato Carlo Alberto incrociavano al largo di Venezia
pronti a intervenire in caso di uscita di navi nemiche da Pola. Il 7 giugno,
ancora la III squadriglia Bersagliere (Corazziere, Artigliere, Lanciere e
Garibaldino), tornava a bombardare la fabbrica Adria-Werke e volgeva il
tiro contro le batterie austro-ungariche di Castello di Duino, che avevano inquadrato
le nostre navi senza peraltro colpirle. Le truppe italiane entrarono a
Monfalcone il 9 giugno, senza contrasto perché la cittadina, ritenuta
indifendibile, era stata abbandonata dal nemico.
L’istituzione
dei Comandi di Difesa Marittima di Grado e Porto Rosega 10 giugno 1915
Gli
Stati Maggiori dell’Esercito e della Marina stabilirono, di comune accordo, che
la zona costiera passasse sotto il completo controllo della Regia Marina che
già dal 4 giugno aveva occupato la stazione di vedetta di Grado dove, il 16
giugno, arrivò anche il primo pontone armato, il “Robusto”, con 3 cannoni da
120 mm. Il 10 giugno erano stati istituiti i due Comandi di Difesa Marittima di
Grado e di Porto Rosega (Monfalcone). Il giorno successivo fu inviata a Grado
una compagnia presidiaria di 300 marinai il cui sbarco fu protetto dalla nave
da battaglia Sardegna.
Il
17 e 18 giugno due incrociatori e un cacciatorpediniere austro ungarici
bombardarono il faro di Punta Tagliamento controbattuti senza esito dalle
batterie di Porto Lignano. L’azione, pur avendo
provocato solo lievi danni alle strutture del faro, fu considerata un grave
rischio per le unità leggere italiane operanti nel golfo di Trieste in appoggio
all’Esercito, nonché per il medesimo fronte terrestre. Fu quindi urgentemente
inviata a Venezia la IV Divisione navale del contrammiraglio Umberto Cagni
costituita da 4 incrociatori corazzati, Amalfi, Pisa, San Giorgio e San
Marco e la loro scorta di CC.TT.
Per
comprendere meglio le pressanti richieste di appoggio delle artiglierie navali
di grosso calibro contro le linee nemiche da parte dei vertici dell’Esercito,
bisogna sapere che tutta la 3a Armata nel giugno 1915 disponeva, di
solo 9 batterie di obici da 149 e di 4 batterie di cannoni da 149 G. di
artiglieria campale.
Impaziente
di prendere l’iniziativa, il contrammiraglio
Cagni si recò il 3 luglio al Comando in Capo del Regio Esercito a Udine per
accordarsi direttamente col generale Cadorna sulle modalità di collaborazione
che la Marina poteva fornire all’Esercito. Tuttavia, tanto dai colloqui con il
Comando Supremo, quanto, da una ricognizione lungo il litorale, giunse alla
conclusione, come il collega contrammiraglio Patris, della impossibilità di
inviare nel golfo di Trieste navi da battaglia. Cagni giustificò il mancato
intervento della Marina con motivazioni squisitamente tecniche. Sostenne che
ben poco si poteva fare con le artiglierie navali contro le postazioni
terrestri, sia per le caratteristiche tipiche del tiro navale che era diretto,
sia per il tipo di munizionamento dei grossi calibri di tipo perforante e non
ad alto esplosivo. Dichiarò invece che era assolutamente opportuno sbarcare i
cannoni dalle vecchie unità non più utilizzabili in linea e sistemarli su
pontoni ma, che era anche necessario affrontare
la flotta nemica per prendere il controllo dell’Alto Adriatico.
L’occasione
di affrontare il nemico si presentò quando il Comando Supremo avvertiva il
contrammiraglio Cagni che un gendarme disertore austroungarico, fuggito a nuoto
da Duino, riferiva che i nemici progettavano di far uscire la flotta da Pola
per bombardare la zona di Monfalcone. La notizia era confermata anche dalla
ricognizione aerea sulla base di Pola. Si
dispose pertanto di far uscire in mare, con lo scopo di intercettare le navi
nemiche, due squadriglie di siluranti che,
ricongiuntesi con l’incrociatore Amalfi, avrebbero rastrellato il mare
da levante a ponente dell’Istria. Ma alle ore 04.01 del 7 luglio 1915 l’Amalfi
fu silurato dal sommergibile tedesco UB-14, camuffato da sommergibile austro
ungarico U 26 perché non eravamo in
guerra con la Germania, e affondato in pochi minuti. Perivano 72 uomini
dell’equipaggio.
Gruppo
batterie Reale Nave Amalfi
Con
i superstiti dell’Amalfi, furono rapidamente costituite due batterie con
cannoni da sbarco 76/17 che raggiunsero il 21 luglio Cervignano, pochi
chilometri a occidente dell’Isonzo e furono schierate nelle posizioni avanzate
di Sdraussina e Peteano alle pendici del San Michele. Comandante del Gruppo
Batterie Regia Nave Amalfi fu designato il capitano di corvetta
Francesco Savino Mininni. Alle due batterie si aggiunse anche una compagnia di
marinai fucilieri: così, questo primo nucleo di marinai in grigio verde
raggiunse il numero di 10 ufficiali, di 12 sottufficiali e 380 sottocapi e
comuni, mentre altre due compagnie di marinai sempre superstiti dell’Amalfi furono
inviate nella laguna di Grado a disposizione del Comando Difesa della Regia
Marina. Dopo un primo periodo in cui i pezzi da 76/17 furono utilizzati in
funzione difensiva, i cannonieri dell’Amalfi chiesero e ottennero di
essere trasferiti in prima linea a fianco delle fanterie, per poter utilizzare
i loro cannoni con il tiro diretto a cui erano più avvezzi. Ma non si
limitarono alla loro specifica mansione e vollero anche partecipare ad ardite
azioni di pattuglia, in cui si distinsero per coraggio e spirito d’iniziativa.
Certo, appare per lo meno strano che dei marinai, abituati a calcare il sicuro
ponte di una nave, perciò con una limitatissima preparazione al combattimento
terrestre e solo in quanto compagnie da sbarco, si siano adattati quasi
immediatamente alla guerra di pattuglia e ai colpi di mano dei fanti. Tuttavia,
fu proprio ciò che avvenne per i superstiti dell’Amalfi. E lo fecero con
valore guadagnandosi 4 MAVM e 19 MBVM.
Ritorniamo
ora ai Comandi Difesa Marittima di Grado e di Porto Rosega, che erano stati
costituiti il 10 giugno. Il giorno successivo, come abbiamo accennato, vi
furono inviate le compagnie presidiarie ed erano iniziati immediatamente i
lavori di apprestamento per la difesa costiera, e quelli necessari
all’istallazione delle necessarie batterie terrestri.
Se
al contrammiraglio Umberto Cagni non si può attribuire la totale paternità dei
pontoni armati da utilizzare nelle zone umide della laguna di Grado e della
foce dell’Isonzo, a lui si deve il forte impulso impresso alla loro rapida
realizzazione sin dai primi giorni del suo arrivo con la IV Divisione a
Venezia. E non soltanto in quelle circostanze, ma anche in seguito, come
vedremo, quando aveva lasciato ormai da tempo la base lagunare; tanto che ai
primi di agosto erano installate e operative le seguenti batterie: 2 cannoni da
57 e 4 mitragliatrici a Porto Buso; 4 cannoni da 120 nell’isola di S. Pietro
d’Orio; 3 cannoni da 120 e 2 mitragliatrici a Grado sul pontone
"Robusto"; 2 cannoni da 76 nell’isola Ravajarina. A queste batterie
che avevano una funzione antinave si aggiungevano anche una batteria terrestre
con 3 cannoni da 152, alcuni pontoni armati con 6 cannoni da 149 e 2 cannoni da
152 collocati nell’Isola Morosini destinati ad un diretto supporto alle
operazioni terrestri dell’Esercito.
Continuava
intanto anche la cessione all’Esercito di pezzi di artiglieria navale a ritmo
sostenuto tanto che, secondo quanto risulta da una lettera inviata il 13 agosto
dal Capo di Stato Maggiore della Marina al Comando Supremo dell’Esercito,
risulta che erano stati consegnate complessivamente 150 bocche da fuoco di
diverso calibro. Con i 12 cannoni del Carlo
Alberto furono create 3 batterie che, dopo le opportune modifiche
apportate in tempi rapidissimi furono inviate ai primi di settembre 1915 al
fronte, due a Villesse sulla riva destra delI’Isonzo e una a San Zanut alla
sinistra del fiume. Le tre batterie
parteciparono attivamente alle operazioni dall’ottobre al dicembre (terza e
quarta battaglia dell’Isonzo), quando furono sciolte per l’usura dei cannoni.
L’armamento era costituito da specialisti della Regia Marina e da soldati della
Milizia Territoriale, sotto il comando del colonnello di artiglieria G.
Marietti.
È
costituito il Raggruppamento Artiglierie del “Basso Isonzo”
Dai
contatti tra gli Stati Maggiori dell’Esercito e della Marina emerse l’esigenza
di dar vita a un raggruppamento organico delle artiglierie delle Difese di
Grado e Monfalcone per meglio rispondere alle esigenze della 3a
Armata. Fu così fu costituito il Raggruppamento Artiglierie “Basso Isonzo”,
posto al comando del capitano di fregata Antonio Foschini, che comprendeva
quattro batterie, due su nove pontoni con 12 cannoni da 152 e due terrestri con
4 cannoni da 152 e 2 cannoni da 305. Il
Raggruppamento ebbe il suo battesimo del fuoco il 24 ottobre 1915 durante la 3a
Battaglia dell’Isonzo (18 ottobre – 4 novembre). Le batterie del Raggruppamento
in appoggio alle nostre fanterie duellarono a lungo con le opposte batterie
austro-ungariche dislocate a Medeazza est e ovest, a q. 92, a Flondar, a Duino
est e ovest, sparando 250 colpi, mentre le nostre fanterie avanzavano. Un colpo
fortunato, per noi, contro la batteria di Duino ovest provocò una grossa
esplosione e un successivo incendio nel vicino bosco.
Altri
violenti bombardamenti terrestri si ebbero tra il 4 e il 5 novembre contro le
batterie di Duino e Gazzola, nonostante le difficoltà per la piena dell’Isonzo.
Nell’ottobre,
oltre ai cannoni del Raggruppamento “Basso Isonzo” destinati ad appoggiare le
truppe di terra, le Difese marittime di Grado e di Porto Rosega schieravano 79
cannoni, 4 di grosso calibro, 32 di medio calibro e 47 di piccolo calibro,
destinati alla difesa costiera.
33°
Raggruppamento Artiglieria d’Assedio
L’attacco
tedesco a Verdun del 21 febbraio 1916 costrinse Cadorna, su pressione degli
Alleati, a lanciare l'11 marzo 1916, in grande anticipo su quanto programmato,
la 5a battaglia dell'Isonzo, che, organizzata frettolosamente, non
poté ottenere risultati tangibili. Durante questa battaglia parteciparono attivamente
all’azione di bombardamento delle linee nemiche le artiglierie del 33°
Raggruppamento Artiglieria d’Assedio, creato in sostituzione del Raggruppamento
“Basso Isonzo”, come documenta il Bollettino del 9 marzo 1916: «Inizia
la quinta battaglia dell’Isonzo a cui partecipa anche il 33° Raggruppamento
Artiglieria d’Assedio, già Raggruppamento Artiglieria Basso Isonzo formato da
personale della Marina.»
Infatti
nei primi mesi del 1916 il Raggruppamento Artiglierie “Basso Isonzo” era stato
potenziato con l’aggiunta di altre batterie sia dell’Esercito che della Marina
ed aveva cambiato denominazione in 33° Raggruppamento Artiglieria d’Assedio,
sempre al comando del capitano di fregata Antonio Foschini, con la medesima
dislocazione nel Basso Isonzo e con disposizione ancor più varia: infatti
comprendeva batterie terrestri, batterie
su pontoni, batterie su autocarri e persino una batteria su carri ferroviari.
-
Comando Difesa Marittima di
Monfalcone. Situazione delle artiglierie alla fine del 1916
In
coincidenza con l’inizio dell’offensiva sugli Altipiani della primavera del
1916, fortemente voluta dal capo di Stato Maggiore Generale Conrad, come
preventivato gli austro ungarici attaccarono anche sul fronte dell’Isonzo con
lo scopo di fissare le forze italiane ed evitare che accorressero in soccorso
alle truppe sul fronte del Trentino. Di conseguenza, tra il 14 e il 16 maggio
1916 entrarono in azione anche le batterie del Raggruppamento, che per 56 ore
continuative bombardarono le linee nemiche. A tal proposito è da sottolineare
che nel quadro generale della Frühjahrsoffensive - Battaglia degli Altipiani - il Comando Superiore imperiale chiedeva con
insistenza anche l’intervento della K.u.K. Kriegsmarine nel Golfo di
Venezia e di Trieste per arrecare danni alla piazzaforte di Venezia e per
fissare le nostre truppe sulla costa nel timore di uno sbarco. L’ammiraglio
Anton Haus espresse però la sua totale contrarietà a far uscire la flotta e
bombardare la Piazzaforte di Venezia, poiché si sarebbero corsi troppi rischi e
i risultati sarebbero stati sicuramente modesti. Conrad non poté fare altro che
prenderne atto.
Un
mese dopo, tra il 14 e il 17 giugno 1916, le batterie 96a, 97a,
98a e 100a furono di nuovo chiamate a contrastare gli
attacchi austro ungarici e spararono 830 colpi; l’azione si ripeté il 28 e 29
giugno 1916, quando si stavano ormai esaurendo i combattimenti sugli altipiani
trentini, e questa volta furono sparati 1.218 colpi.
Fattiva
fu la partecipazione dalle nostre batterie del 33° Raggruppamento di
Artiglieria d’Assedio anche durante la 6a battaglia dell’Isonzo
(4-17 agosto 1916), durante la quale fu conquistata Gorizia, la 7a
battaglia dell’Isonzo (14-19 settembre 1916), l’8a (9-12 ottobre 1916)
e la 9a battaglia dell’Isonzo (31 ottobre-7 novembre 1916).
Nel
novembre 1916 il Comando Difesa Marittima di Porto Rosega comprendeva 4 cannoni
da 203, 2 da 190, 12 da 152 e 5 da 120 con 500 uomini. Il Comando Difesa
Marittima di Grado nello stesso mese schierava 4 pezzi da 152, 7 da 120, 16 da
76 contraerei e 12 cannoni di calibro inferiore con un personale di 1.900
uomini. I depositi principali di munizioni per le artiglierie dei due Comandi e
del 33° Raggruppamento d’Artiglieria d’Assedio erano collocati ad Aquileia.
Nel
dicembre 1916, a causa della carenza soprattutto di cannonieri, le batterie
della Regia Marina del 33° Raggruppamento furono cedute all’Esercito ad
eccezione delle 6 batterie del IV Gruppo che ritornarono alle dipendenze della
Difesa Marittima di Monfalcone. Il comandante Foschini fu destinato al comando
di un incrociatore.
La
batteria “Amalfi”
La
Regia Marina aveva anche la responsabilità della difesa costiera della Piazza
di Venezia e per rafforzarla, alla fine 1915, sul Cavallino fu iniziata la
costruzione di una possente batteria, che prese il nome di “Amalfi”, in ricordo
dell’omonimo incrociatore corazzato affondato nell’estate, con 2 grossi cannoni
navali da 381/40, che originariamente erano stati destinati alle corazzate
della classe Caracciolo di cui era stata sospesa la costruzione
all’inizio della guerra. I due cannoni, che erano posti in una torre corazzata
di tipo navale, disponevano quindi di un settore di tiro di 360° che consentì
loro di battere le posizioni terrestri nemiche durante la battaglia d’arresto
sulla Piave alla fine del 1917. Non ebbero
però mai modo di aprire il fuoco contro le navi austro ungariche, che non osarono mai avvicinarsi alla nostra Piazza.
Nel primo semestre 1917 sarebbe stata pronta non solo la batteria “Amalfi”, ma
anche altre 10 nuove batterie a difesa del fronte a mare di Venezia, per un
totale di 7 cannoni da 152, 18 da 120 e 15 di calibri inferiori.
La
difesa della costa adriatica. I Treni Armati della Regia Marina
Per
proteggere dai continui bombardamenti navali e aerei la nostra costa adriatica
da Ravenna a Bari, la Regia Marina ideò un sistema di difesa mobile con dei
treni armati. Ogni treno era armato con cannoni navali da 152 mm o da 120
navali o da 76 antiaerei, ed era affiancato da un treno logistico con vagoni
addetti a cucina, cambusa, pezzi di ricambio, officina e alloggi per il
personale. Occorre precisare che i cannonieri di marina erano ben addestrati a
calcolare, oltre alla distanza, anche la velocità, la rotta, gli scarti fra le
salve e, soprattutto, sapevano valutare le accostate e le variazioni di
velocità, tutti elementi necessari per colpire una nave in navigazione.
Entrarono
in servizio in totale 12 treni, 6 treni armati con cannoni da 152, 5 treni
armati con cannoni da 120 e 1 treno con cannoni e mitragliere antiaerei. Il
personale era formato da 60 ufficiali, 144 sottufficiali e 730 tra sottocapi e
comuni. I ferrovieri e i macchinisti erano stati militarizzati. Grazie alla
presenza dei nostri treni armati, gli attacchi austro-ungarici contro la nostra
costa adriatica andarono a diminuire progressivamente, con sollievo anche del
morale della popolazione.
C’è
un aspetto, che io ritengo di grande importanza ma che non è stato
sufficientemente valutato dagli studiosi. Se osserviamo la disposizione delle
forze contrapposte alla vigilia della Battaglia di Vittorio Veneto, notiamo che noi difendevamo la piatta e scoperta
costa adriatica dalla Romagna alle Puglie con solo 12 treni armati e un
migliaio di marinai e 8.000 Guardie di Finanza distribuite in piccoli nuclei di
osservazione lungo tutto il litorale, mentre gli Austro ungarici, per difendere
l’articolata e protetta costa istriana e dalmata, impegnavano 6 divisioni, che
avrebbero potuto rafforzare le truppe schierate sulla Piave, se il nemico non
avesse avuto il timore continuo di nostri sbarchi.
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