Parte
I
Dall’inizio
delle ostilità a Caporetto
La preparazione alla
guerra
I piani di collaborazione tra Esercito e Marina
Nei
nove mesi che intercorsero tra la dichiarazione di neutralità (3 agosto 1914) e
l’entrata in guerra dell’Italia (24 maggio 1915) la Regia Marina dovette
spostare completamente l’asse previsto delle operazioni dal Tirreno
all’Adriatico, che era praticamente indifeso. La
Base di Venezia non era in grado di accogliere le grandi navi da battaglia per
l’insufficiente profondità del fondale della laguna, mentre le batterie
costiere erano insufficienti e obsolete. L’unica altra base importante
dell’Adriatico era Brindisi, a 400 miglia di distanza, il cui porto non era
comunque in grado di ospitare navi di grosso tonnellaggio e era scarsamente
difeso.
Per
il rovesciamento delle alleanze[1],
alla fine del maggio 1915 l’Adriatico era diventato il centro dell’attività
bellica navale tra l’Italia e l’Austro-Ungheria e richiedeva per di più una
stretta collaborazione tra le due Forze Armate; collaborazione che peraltro era
iniziata già dal 1907, quando la Regia Marina e il Regio Esercito avevano
iniziato ad addestrarsi insieme in vista di eventuali operazioni anfibie in
un’Albania che si riteneva minacciata da vicino dalla nostra alleata
Austro-Ungheria dopo l’annessione della Bosnia-Erzegovina (6 ottobre 1908). Dal 1909, dopo un nuovo
riavvicinamento tra le due alleate e in preparazione di una nostra ancora solo
prevedibile invasione della Tripolitania e della Cirenaica, gli Stati Maggiori
dell’Esercito e della Marina iniziarono addirittura a pianificare un possibile
sbarco italo-austriaco a Malta, la base navale britannica al centro del canale
di Sicilia. Il piano fu completato nel 1911 e aggiornato periodicamente, anche
se i punti di vista delle due Forze Armate sulla riuscita dello sbarco erano
assai diverse. Infatti l’Esercito era ottimista sul buon esito perché Malta era
difesa da una sola Brigata di fanteria, mentre la Marina nutriva serie
perplessità a causa delle notevoli difese costiere dell’isola e soprattutto del
certo intervento da parte della flotta britannica. Tra le due Forze Armate si
progettò addirittura seriamente, fino al 1914, uno sbarco in Provenza.
Scoppiata
la guerra, e nonostante l’Italia si fosse dichiarata neutrale, nel settembre il
Comando in Capo decise di occupare l’isola di Saseno e nell’ottobre successivo
Valona. Erano le premesse per poter porre il blocco del canale di Otranto in una
futura guerra contro l’Austria-Ungheria. Intanto,
dopo la dichiarazione di neutralità, gli scambi
tra le due Forze Armate si intensificavano e già nell’agosto del 1914 furono
emanate dall’Ufficio della Stato Maggiore della Marina le istruzioni di massima
per l’«Impiego bellico delle navi, siluranti e mezzi aerei dislocati a
Venezia» che stabilivano i criteri da seguire per la difesa del litorale
limitrofo alla piazza e per l’appoggio che la R. Marina avrebbe dovuto fornire
al R. Esercito in caso di conflitto con l’Impero asburgico. In conseguenza di
tali accordi lo S.M. della Marina disponeva la costituzione di una speciale
Divisione navale composta da unità antiquate, superate e di scarso valore
bellico, ma adatte a cooperare alla difesa della piazzaforte di Venezia e di
dare appoggio e protezione dal mare all’ala destra dell’Esercito durante la
prevista avanzata oltre la frontiera. Ne fu designato comandante il
contrammiraglio Giovanni Patris che fin dal settembre 1914 si recò a Venezia
per prendere contatti con il generale Luigi Zuccari, a sua volta comandante
designato dell’ala destra dell’Esercito.
Nei
primi giorni di aprile 1915, cioè pressappoco negli ultimi due mesi di
neutralità dell’Italia, iniziò un fitto scambio epistolare tra il tenente
generale Cadorna, Capo di Stato Maggiore del Regio Esercito e il suo omologo
vice ammiraglio Thaon di Revel, sempre sull’argomento dell’appoggio che la
Marina avrebbe potuto fornire all’avanzata delle truppe verso Trieste lungo il
litorale. Cadorna nella sua prima lettera, che qui riporto nei punti salienti,
scriveva:
«…Ma soprattutto quel che a me preme è di potersi
valere della strada litoranea per la marcia su Trieste per la quale cosa
occorre che questa strada non possa essere battuta dalle navi nemiche. Che se
tale scopo si potesse raggiungere sia bloccando la flotta di Pola, sia con
l’impiego di sottomarini sia spargendo mine lungo la zona litoranea sì che le
navi nemiche non potessero avvicinarsi alla costa a tiro utile, giudicherei già
efficace il concorso della Marina».
Semplificando
e riassumendo il contenuto, per Cadorna era importante impedire che le navi
nemiche potessero bombardare le truppe italiane in avanzata lungo la litorale
verso Trieste, con qualunque mezzo fosse possibile.
A
queste e ad altre successive richieste, rispondeva in modo che voleva essere
definitivo, e, occorre dirlo, con ben altro spessore strategico, il vice
ammiraglio Thaon di Revel:
«…il
concorso della Marina alle operazioni della III Armata, anche se limitato alla
protezione della strada costiera, non poteva risultare pienamente efficace se
non dopo aver conquistato il dominio, almeno relativo, del mare sia con la
battaglia vittoriosa oppure con opportuna dislocazione del nostro grosso
rispetto al grosso avversario. Per dare battaglia occorre però che il nemico
intenda accettare ed esca dalle sue munitissime basi. La dislocazione del
nostro grosso per assicurare almeno il dominio relativo del golfo (di Trieste
n.d.a), quando il grosso avversario fosse rinchiuso nella sua fortezza
settentrionale, è operazione resa difficile e rischiosa dalla deficienza
strategica del nostro litorale rispetto a quello strategicamente ottimo
dell’avversario» e concludeva assicurando che ad ogni modo si sarebbe
tenuto conto al massimo delle esigenze dell’Esercito.
In
estrema sintesi, il Capo di Stato Maggiore della Regia Marina riteneva che non
era possibile impedire con le sole mine e gli agguati dei sommergibili le
azioni navali da parte del nemico contro le nostre forze terrestri in avanzata
sul litorale verso Trieste, e che non era possibile intervenire con la nostra
squadra navale senza aver ottenuto prima un controllo, almeno relativo, del
medesimo Golfo di Trieste. E il vice ammiraglio, anche se era certo che il
nemico sarebbe rimasto chiuso nella sua sicura base di Pola, non poteva
arrischiare che le sue navi maggiori della Divisione Sardegna, meno numerose e potenti di quelle
austro-ungariche, potessero essere prese alle spalle dalla flotta nemica, o che
fossero silurate dai sommergibili in agguato, o saltassero sulle mine tanto più
pericolose in un mare con così basso fondale.
[1] Uso qui
volutamente il noto termine tecnico riferito alla Guerra dei Sette Anni
(1756-1763).
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