lunedì 10 gennaio 2022

Lanfranco La Sanna. La grande guerra Le operazioni della Regia Marina sul fronte terrestre nell’Alto Adriatico I Parte

 

Parte I

Dall’inizio delle ostilità a Caporetto

                  La preparazione alla guerra                                                                                             I piani di collaborazione tra Esercito e Marina

Nei nove mesi che intercorsero tra la dichiarazione di neutralità (3 agosto 1914) e l’entrata in guerra dell’Italia (24 maggio 1915) la Regia Marina dovette spostare completamente l’asse previsto delle operazioni dal Tirreno all’Adriatico, che era praticamente indifeso. La Base di Venezia non era in grado di accogliere le grandi navi da battaglia per l’insufficiente profondità del fondale della laguna, mentre le batterie costiere erano insufficienti e obsolete. L’unica altra base importante dell’Adriatico era Brindisi, a 400 miglia di distanza, il cui porto non era comunque in grado di ospitare navi di grosso tonnellaggio e era scarsamente difeso.

Per il rovesciamento delle alleanze[1], alla fine del maggio 1915 l’Adriatico era diventato il centro dell’attività bellica navale tra l’Italia e l’Austro-Ungheria e richiedeva per di più una stretta collaborazione tra le due Forze Armate; collaborazione che peraltro era iniziata già dal 1907, quando la Regia Marina e il Regio Esercito avevano iniziato ad addestrarsi insieme in vista di eventuali operazioni anfibie in un’Albania che si riteneva minacciata da vicino dalla nostra alleata Austro-Ungheria dopo l’annessione della Bosnia-Erzegovina (6 ottobre 1908).          Dal 1909, dopo un nuovo riavvicinamento tra le due alleate e in preparazione di una nostra ancora solo prevedibile invasione della Tripolitania e della Cirenaica, gli Stati Maggiori dell’Esercito e della Marina iniziarono addirittura a pianificare un possibile sbarco italo-austriaco a Malta, la base navale britannica al centro del canale di Sicilia. Il piano fu completato nel 1911 e aggiornato periodicamente, anche se i punti di vista delle due Forze Armate sulla riuscita dello sbarco erano assai diverse. Infatti l’Esercito era ottimista sul buon esito perché Malta era difesa da una sola Brigata di fanteria, mentre la Marina nutriva serie perplessità a causa delle notevoli difese costiere dell’isola e soprattutto del certo intervento da parte della flotta britannica. Tra le due Forze Armate si progettò addirittura seriamente, fino al 1914, uno sbarco in Provenza.

Scoppiata la guerra, e nonostante l’Italia si fosse dichiarata neutrale, nel settembre il Comando in Capo decise di occupare l’isola di Saseno e nell’ottobre successivo Valona. Erano le premesse per poter porre il blocco del canale di Otranto in una futura guerra contro l’Austria-Ungheria.                                                                                                                                             Intanto, dopo la dichiarazione di neutralità, gli scambi tra le due Forze Armate si intensificavano e già nell’agosto del 1914 furono emanate dall’Ufficio della Stato Maggiore della Marina le istruzioni di massima per l’«Impiego bellico delle navi, siluranti e mezzi aerei dislocati a Venezia» che stabilivano i criteri da seguire per la difesa del litorale limitrofo alla piazza e per l’appoggio che la R. Marina avrebbe dovuto fornire al R. Esercito in caso di conflitto con l’Impero asburgico. In conseguenza di tali accordi lo S.M. della Marina disponeva la costituzione di una speciale Divisione navale composta da unità antiquate, superate e di scarso valore bellico, ma adatte a cooperare alla difesa della piazzaforte di Venezia e di dare appoggio e protezione dal mare all’ala destra dell’Esercito durante la prevista avanzata oltre la frontiera. Ne fu designato comandante il contrammiraglio Giovanni Patris che fin dal settembre 1914 si recò a Venezia per prendere contatti con il generale Luigi Zuccari, a sua volta comandante designato dell’ala destra dell’Esercito.

Nei primi giorni di aprile 1915, cioè pressappoco negli ultimi due mesi di neutralità dell’Italia, iniziò un fitto scambio epistolare tra il tenente generale Cadorna, Capo di Stato Maggiore del Regio Esercito e il suo omologo vice ammiraglio Thaon di Revel, sempre sull’argomento dell’appoggio che la Marina avrebbe potuto fornire all’avanzata delle truppe verso Trieste lungo il litorale. Cadorna nella sua prima lettera, che qui riporto nei punti salienti, scriveva:

«Ma soprattutto quel che a me preme è di potersi valere della strada litoranea per la marcia su Trieste per la quale cosa occorre che questa strada non possa essere battuta dalle navi nemiche. Che se tale scopo si potesse raggiungere sia bloccando la flotta di Pola, sia con l’impiego di sottomarini sia spargendo mine lungo la zona litoranea sì che le navi nemiche non potessero avvicinarsi alla costa a tiro utile, giudicherei già efficace il concorso della Marina».

Semplificando e riassumendo il contenuto, per Cadorna era importante impedire che le navi nemiche potessero bombardare le truppe italiane in avanzata lungo la litorale verso Trieste, con qualunque mezzo fosse possibile.

A queste e ad altre successive richieste, rispondeva in modo che voleva essere definitivo, e, occorre dirlo, con ben altro spessore strategico, il vice ammiraglio Thaon di Revel:

«…il concorso della Marina alle operazioni della III Armata, anche se limitato alla protezione della strada costiera, non poteva risultare pienamente efficace se non dopo aver conquistato il dominio, almeno relativo, del mare sia con la battaglia vittoriosa oppure con opportuna dislocazione del nostro grosso rispetto al grosso avversario. Per dare battaglia occorre però che il nemico intenda accettare ed esca dalle sue munitissime basi. La dislocazione del nostro grosso per assicurare almeno il dominio relativo del golfo (di Trieste n.d.a), quando il grosso avversario fosse rinchiuso nella sua fortezza settentrionale, è operazione resa difficile e rischiosa dalla deficienza strategica del nostro litorale rispetto a quello strategicamente ottimo dell’avversario» e concludeva assicurando che ad ogni modo si sarebbe tenuto conto al massimo delle esigenze dell’Esercito.

In estrema sintesi, il Capo di Stato Maggiore della Regia Marina riteneva che non era possibile impedire con le sole mine e gli agguati dei sommergibili le azioni navali da parte del nemico contro le nostre forze terrestri in avanzata sul litorale verso Trieste, e che non era possibile intervenire con la nostra squadra navale senza aver ottenuto prima un controllo, almeno relativo, del medesimo Golfo di Trieste. E il vice ammiraglio, anche se era certo che il nemico sarebbe rimasto chiuso nella sua sicura base di Pola, non poteva arrischiare che le sue navi maggiori della Divisione Sardegna, meno numerose e potenti di quelle austro-ungariche, potessero essere prese alle spalle dalla flotta nemica, o che fossero silurate dai sommergibili in agguato, o saltassero sulle mine tanto più pericolose in un mare con così basso fondale.

(continua)

[1]     Uso qui volutamente il noto termine tecnico riferito alla Guerra dei Sette Anni (1756-1763).

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